Il Sole 24 Ore

Se la natura è senza Dio

I quattro cento anni del «De admirandis» del filosofo salentino condannato a morte per le sue idee, come Giordano Bruno

- Di Vincenzo Barone

C’è stato un tempo in cui ragionare sull’universo poteva costare la vita. Il caso di Giordano Bruno, arso vivo nel 1600 a Campo de’ Fiori, è il più famoso ma non l’unico. « Andiamo allegramen­te a morire da filosofi » , pare che abbia detto il 9 febbraio 1619 un altro grande visionario, il salentino Giulio Cesare Vanini, mentre veniva condotto sul luogo del supplizio, in una piazza di Tolosa. Il boia prima gli strappò la lingua e poi accese la pira, ponendo fine alla breve esistenza (34 anni) del pensatore di Taurisano. La condanna a morte per « ateismo, bestemmia, empietà e altri eccessi » non era stata emessa dall’Inquisizio­ne, ma da un tribunale civile, perché negare l’esistenza di Dio era un delitto di lesa maestà, un attentato al fondamento divino dell’autorità del monarca.

Tre anni prima, nel settembre del 1616, era comparsa una delle opere principali di Vanini, il De admirandis naturae reginae deaeque mortalium arcanis ( I me- ravigliosi segreti della natura, regina e dea dei mortali), stampata a Parigi da Adrien Périer e accolta con favore e interesse negli ambienti di corte e nei circoli dell’intellettu­alità transalpin­a. L’autore, in quel momento, si trovava in Francia dopo un l ungo girovagare per l’Europa, molto simile a quello di Bruno. Frate dell’ordine dei carmelitan­i, formatosi negli studi giuridici e teologici a Napoli e a Padova, nel 1612 Vanini era entrato improvvisa­mente in rotta di collisione con le gerarchie ecclesiast­iche e si era rifugiato in Inghilterr­a, dove aveva abbracciat­o la fede anglicana. Il soggiorno londinese e la conversion­e durarono meno di due anni: nel 1614 Vanini chiese di essere riammesso nella Chiesa cattolica e fuggì rocamboles­camente in Francia. A Lione, nel 1615, pubblicò la sua prima grande opera, l’Am phitheatru­m aeternae providenti­ae, seguita l’anno successivo dal De admirandis. Con la fama giunsero però anche le indagini delle autorità, insospetti­te dal successo che le opere dell’ex frate riscuoteva­no nei cenacoli libertini. La situazione precipitò nell’agosto 1618, quando Vanini venne improvvisa­mente arrestato e sottoposto a un estenuante processo, durato sei mesi. Una prova falsa, prodotta da un gesuita, condusse infine alla pena capitale.

Il De admirandis è concepito come una lunga discussion­e filosofica, in sessanta dialoghi, che si svolge nell’arco di una giornata estiva tra Giulio Cesare e un giovane interlocut­ore, Alessandro, il quale pone di volta in volta le questioni. Ciò che colpisce nell’opera non è tanto la presenza di idee scientific­he di sapore moderno ( anche se, per esempio, il trasformis­mo biologico che vi viene affermato rappresent­a una notevole intuizione), quanto piuttosto lo sguardo integralme­nte razionale e naturalist­ico che Vanini getta sul mondo.

Dio viene continuame­nte evocato, ma solo per essere poi, di fatto, messo ai margini, con un abile gioco di simulazion­e e dissimulaz­ione che poggia, oltre che sulla forma-dialogo, su una vasta gamma di espedienti retorici, come le frequenti citazioni di autori ortodossi, estrapolat­e dai contesti originari e usate come materiale grezzo per costruire nuovi discorsi filosofici, o i riferiment­i alle tesi dei materialis­ti pagani, apparentem­ente confutate ma in effetti esposte con attenzione e simpatia.

È un gioco che sembra funzionare, tant’è vero che i due religiosi della Sorbona incaricati di leggere il manoscritt­o concedono senza indugio l’approvazio­ne alla stampa, salvo rendersi conto, subito dopo la pubblicazi­one, dell’imprudenza commessa.

Come nota uno dei maggiori esperti del filosofo salentino, Francesco Paolo Raimondi (curatore, assieme a Mario Carparelli, dell’edizione in italiano dell’opera omnia), «per Vanini l’ordine naturale trova in se stesso la propria giustifica­zione con l’esclusione di ogni dimensione metafisica [...] In nessun luogo egli accenna a una presenza di Dio nel mondo e in tutte le sua analisi della realtà l’intervento divino viene escluso».

È significat­ivo in proposito un passo del Dialogo IV: «La mole del cielo è posta in orbita dalla propria forma come accade per gli elementi», afferma Giulio Cesare. E all’obiezione di Alessandro – «Ma come possono muoversi i cieli secondo leggi certe e stabili, se non li assistono le divine menti motrici, partecipi della prima sapienza?» – risponde: «Che c’è di strano? Forse che nei vilissimi macchinari degli orologi, diligentem­ente predispost­i da un Tedesco ubriaco, non vige una legge certa e stabile del movimento? [...] Anche il mare ad intervalli certi e definiti è mosso, secondo un ritmo di flussi e riflussi, dalla propria forma, cioè da quella che voi Peripateti­ci chiamate gravità. Anzi, poiché il cielo si muove sempre secondo il medesimo movimento, direi che è mosso dalla sua pura forma e non dal volere di un’Intelligen­za».

Certis statisque legibus («Secondo leggi certe e stabili » ) : è uno dei concetti fondamenta­li dell’opera, la formula che esprime il lato più innovativo del pensiero di Vani-

Soddisfazi­one, ma anche molta frustrazio­ne: questa l’ambivalenz­a dei sentimenti che si provavano a seguire lunedì scorso il programma «Presa Diretta» di Riccardo Iacona dedicato alla ricerca in Italia. La soddisfazi­one di aver ascoltato dai responsabi­li istituzion­ali dei finanziame­nti alla ricerca in Germania e da uno dei consulenti scientific­i dell’amministra­zione di Obama, le stesse tesi (e parole) che da anni pubblichia­mo su queste pagine. Per garantire la crescita economica e sociale di un Paese si deve investire in modo consistenz­e non solo in innovazion­e ma anche in ricerca di base, le assegnazio­ni dei finanziame­nti devono avvenire sulla base di valutazion­i indipenden­ti dalla politica e da logiche di potere accademico (serve un’agenzia della ricerca) e la competizio­ne trasparent­e su scala internazio­nale è la migliore garanzia che i soldi pubblici investiti saranno usati per realizzare i migliori progetti e reclutare i migliori ricercator­i. Ma è molto frustrante dire cose che per i Paesi messi meglio di noi sono delle ovvietà, sapendo che in Italia comunque nessuno vuole ascoltare e cambiare.

– Gilberto Corbellini

ni. L’universo vaniniano, meccanico e materiale, si spiega in virtù dei propri princìpi interni, senza necessità alcuna di introdurre entità sovrannatu­rali o cause finali. Le leggi della natura non sono l’indizio dell’esistenza di un Essere intelligen­te, ma semmai il contrario, perché un mondo governato da un’Intelligen­za sarebbe soggetto piuttosto all’arbitrio e alla contingenz­a che alla regolarità. Sebbene l’attrezzatu­ra intellettu­ale di Vanini rimanga sostanzial­mente quella aristoteli­ca, la sua concezione del mondo rompe decisament­e col passato – con i vecchi animismi, con la separazion­e tra cielo e terra, con l’antropocen­trismo. « L’universo – scrive ancora Raimondi – si slarga in una dimensione infinita, perde ogni connotazio­ne teleologic­a, si spopola dell’ingombrant­e schiera di essenze demoniache e angeliche d’ogni sorta e si riafferma nella totale autonomia da ogni principio esterno e trascenden­te » .

Come un’improvvisa esposizion­e alla luce, la secretior philosophi­a di Vanini «provoca un dolore in chi è rimasto a lungo al buio» (sono sue parole). «Che danno subiscono quelli che non ti ascoltano!», osserva Alessandro. «Al contrario – replica Giulio Cesare – lo subiscono quelli che mi ascoltano!». L’Inquisizio­ne se ne accorgerà in ritardo: il decreto con cui il De admirandis viene dichiarato “sospetto” e se ne vieta la circolazio­ne donec corrigatur – finché non corretto dall’autore – arriva solo nel luglio del 1620, quando il filosofo di Taurisano (all’insaputa del cardinale Bellarmino e dei suoi colleghi) è già in cenere. «Fu più facile bruciare Vanini che riuscire a confutarlo», scriverà lapidariam­ente Arthur Schopenhau­er.

vincenzo. barone@ uniupo. it

Il De admirandis è tradotto, con il testo originale a fronte, in Giulio Cesare Vanini, Tutte le opere , a cura di F. P. Raimondi e M. Carparelli, Bompiani, Milano, pagg. 1946, € 45

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