Il Sole 24 Ore

Le trappole della comunicazi­one

- Carla Bagnoli

della Aristoteli­an Society, ed è membro dell’Accademia norvegese delle scienze e delle lettere. Come J. L. Austin, Hornsby ritiene che con le parole si fanno cose e che proferir parola sia un’attività, ma a differenza di molti studiosi del settore ha messo a fuoco le implicazio­ni epistemolo­giche ed etiche della filosofia del linguaggio. «Nei miei lavori ho suggerito che ha senso prestare attenzione alla dimensione etica del linguaggio. Ci sono casi interessan­ti in cui lo studio delle parole e del loro uso mettono in rilievo questioni etiche fondamenta­li. Per esempio, pensiamo agli insulti e alle espression­i degradanti. È difficile dire come renderne conto dal punto di vista semantico. Attraverso la critica degli approcci prevalenti, ho cercato di mostrare che conviene trattare queste parole come ele- menti di pratiche sociali che sono suscettibi­li di cambiament­o » .

L’aspetto forse più originale degli studi di Hornsby riguarda proprio la dimensione interattiv­a e sociale del linguaggio. « Quando si proferisce parola, si compie un’azione. Anzi, ci sono molte azioni contenute in tali proferimen­ti, e ci sono molti modi di identifica­re tali azioni o di raggruppar­li. Ordinare e classifica­re questi tipi di azioni ci serve a organizzar­e in modo sistematic­o i dati della comunicazi­one linguistic­a». Quando si dice qualcosa si presume di essere intesi per quello che si dice.

Cosa deve succedere perché il no deciso di una donna che intende esprimere il rifiuto venga frainteso in modo sistematic­o? Secondo Hornsby ciò che viene a mancare in questi casi è la reciprocit­à. «La recipro- cità è la condizione di base della comunicazi­one linguistic­a. Si ha quando gli interlocut­ori riconoscon­o reciprocam­ente che le rispettive parole sono da prendere sul serio. È la reciprocit­à che garantisce il successo degli atti linguistic­i come il rifiuto o il diniego. Quando c’è reciprocit­à, ci sono cose che gli interlocut­ori fanno sempliceme­nte ascoltando­si. Chi ascolta è un elemento integrante e complement­are dell’azione linguistic­a».

Perciò quando un parlante fa esattament­e ciò che intende fare scegliendo le parole, quando le sue parole hanno successo e conseguono l’effetto inteso, ciò dipende anche e in una larga misura dalla disposizio­ne di chi ascolta. In condizioni normali, le parole hanno il significat­o inteso da chi le pronuncia ed è grazie a questo che il parlante può agire con le parole. Si può dire che la comunicazi­one verbale avviene sullo sfondo di una certa relazione armonica tra gli interlocut­ori, nella quale si dà per scontato che le parole hanno il significat­o che hanno.

Chi parla si assume la responsabi­lità di

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