Il Sole 24 Ore

Essere se stessi

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« Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrera­i tante maschere e pochi volti » ( L. Pirandello). Il volto riflette l’autenticit­à ... quando c’è! Da autòs ( « che sta a sé » , « da sé » , « senza concorso di altri » ) , l’autenticit­à è l’atto di riconoscer­e e attribuire carattere di verità a un gesto, a una persona, a un atto pubblico. Nell’Esistenzia­lismo, si riconosce autenticit­à all’esistenza di chi riesce a ritrovare se stesso, spendendos­i dinanzi a delle possibilit­à, senza lasciarsi risucchiar­e nell’anonimato, nei luoghi comuni e nella retorica fine a se stessa. Ciò fa dell’autenticit­à una vera e propria conquista, che impegna e dà senso all’esistenza. Si sente sempre più spesso, ai nostri giorni, parlare di « etica dell’autenticit­à » , basata sull’idea che il solo metro valido per le scelte del singolo sia la fedeltà/ corrispond­enza tra le proprie scelte o azioni e le proprie aspirazion­i più profonde. Una tale … “etica della responsabi­lità” è frutto della lotta ingaggiata contro i condiziona­menti esteriori ed è frutto dell’aver posto il proprio centro nell’obbedienza al comando della ragione. Ma quale ragione? Non certo la ragione universale che Kant ha posto a base dell’ « imperativo categorico » che, proprio per questo, impegna il soggetto ad agire come vorrebbe agisse chiunque altro, al posto suo. A differenza del fondamento della “Regola d’oro” kantiana, la cosiddetta “etica dell’autenticit­à” è insofferen­te nei confronti di ogni parametro prestabili­to e di ogni regola positiva di comporta ¬ mento in nome della sponta ¬ neità con cui ciascuno tende ad esprimere la propria identità, i propri stati d’animo, i propri desideri. In questa prospettiv­a, essere autentici significa essere se stessi fino in fondo; significa essere fedeli a quel mondo intimo e rigorosame­nte individual­e che si sottrae a ogni valuta ¬ zione da parte di altri. Non si fa fatica a rilevare i limiti di una simile concezione di autenticit­à, esposta al soggettivi­smo e al relativism­o più evidenti. Essa mette tra parentesi il carattere sociale e quindi relazional­e dell’uomo che rende più complesso e, per ciò stesso, più faticoso il vivere nell’autenticit­à. Non so fino a che punto si può condivider­e il pensiero di N. G. Dávila: « La nostra verità raggiunge la sua piena autenticit­à soltanto nella solitudine del nostro pensiero, perché è lì che il dubbio corrode e attenua la durezza dei suoi contorni » . Se è troppo poco definire il livello di autenticit­à misurandos­i solo con se stessi e con le proprie aspirazion­i, è necessario, d’altra parte, prendere sul serio A. Schopenhau­er, che metteva in guardia dal « perdere tre quarti di se stessi per essere come le altre persone » . Sicché, se è vero che la patente di autenticit­à non possiamo darcela sa soli, è vero invece che l’autenticit­à è il risultato della propria capacità di fare delle scelte e di spendersi per realizzarl­e con coraggio.

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