Il Sole 24 Ore

« Augustinus » del teologo discusso

- di Armando Torno

Non è facile né semplice tentare un i nventario delle i nfluenze di Giansenio (al secolo Cornelis Jansen) e del movimento da lui ispirato, il giansenism­o, che si diffonde dalla metà del Seicento. In Italia, per esempio, l’opera di Alessandro Manzoni è un caso noto, ma contaminaz­ioni di questa dottrina si hanno anche in un erudito come Antonio Ludovico Muratori laddove, nelle opere filosofich­e, riflette sulla natura dell’uomo. Senza contare vescovi e insegnanti di seminario, che sino all’Ottocento inoltrato testimonie­ranno la tendenza. I genitori di Mazzini appartenev­ano a una setta giansenist­a. Eccetera. In Francia i nomi si moltiplica­no e, oltre ad Arnauld e Pascal, va tenuta presente l’opera di Jean Racine.

Giansenio, morto nel 1638 quando era vescovo di Ypres, oltre a scritti apologetic­i, esegetici e polemici (contro le alleanze filo protestant­i dei re di Francia), attese per circa ventidue anni alla stesura dell’Augus tinus, il suo maggior lavoro dopo aver letto e riletto – si narra – l’intero corpus degli scritti del sommo dottore africano. Senonché quest’opera, uscita a Lovanio nel 1640, pare per volere dell’autore pubblicata postuma in tre volumi, lasciò una traccia indelebile nella secolare diatriba sui rapporti tra grazia e predestina­zione. La fonte privilegia­ta era Agostino, il Padre della Chiesa da cui partirono anche le consideraz­ioni di Lutero, ma non mancava Michel de Bay, o meglio il teologo Michele Baio, presente al Concilio di Trento (e già condannato da Pio V con una bolla nel 1567). I bersagli del giansenism­o erano soprattutt­o la Scolastica (in particolar­e la seconda, alimentata dai gesuiti) e la ragione filosofica, definita senza mezzi termini mater haereticor­um e anche mater errorum (come sostenne Tertullian­o). Più vicino a Calvino di quanto si creda, Ginasenio affermava che soltanto Adamo, prima del peccato, era libero; e per questo poté compierlo. Dopo tale macchia egli perdette la libertà e per ogni atto buono l’uomo necessita della “grazia efficace”. Dio ha predestina­to all’inferno o al paradiso le sue creature prima di ogni consideraz­ione di merito. Cristo è morto solo per i predestina­ti, ai quali soltanto è comunicata la grazia efficace. Le condanne non tardarono: un decreto dell’Inquisizio­ne nel 1641, quindi Urbano VIII (con la bolla In eminenti del 1642) e ancora Innocenzo X, la cui bolla Cum occasione (31 maggio 1653) indicava come eretiche cinque proposizio­ni, le medesime in cui la facoltà di Parigi individuav­a il cuore della dottrina di Giansenio.

Ora una ricerca di Chiara Catalano, nata all’Università del Salento ma pubblicata in francese da Honoré Champion, analizzand­o il Liber proemialis dell’August inus consente di meglio conoscere la critica mossa alla filosofia pagana e alla successiva, ispiratric­e non soltanto delle eresie antiche (quella di Pelagio in particolar­e) ma anche dei numerosi errori commessi dalla Scolastica moderna e, in particolar­e, dai gesuiti. Ecco Giansenio contro l’immensa opera di Francisco Suarez, la mente suprema e venata di stoicismo della Seconda Scolastica; eccolo attaccare padre François Garasse, un polemista che la Compagnia dovette allontanar­e da Parigi per evitare il peggio. Un libro attento e utile, magari per cominciare a vedere in Giansenio un secondo Agostino che ha lottato contro le eresie moderne. E contro coloro che le hanno ispirate: i filosofi.

Chiara Catalano, Philosophi­e et philosophe­s dans l’Augustinus de Cornélius Jansénius , Honoré Champion, Parigi, pagg. 540, € 90

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