Il Sole 24 Ore

Tutto Bonalumi fino al 2014

- di Ada Masoero

Il mondo internazio­nale dell’arte se n’è accorto tardi, ma alla fine è accaduto: è accaduto che la rivoluzion­e linguistic­a avviata in Italia negli anni ’60 dagli artisti che orbitavano intorno a un astro come Lucio Fontana (Bonalumi, Castellani, Manzoni, Scheggi…), abbia finalmente trovato l’attenzione critica che meritava. E che a quegli artisti ingiustame­nte trascurati - a chi prima a chi dopo, ma comunque in anni recenti -, sia stato riconosciu­to il ruolo fondante rivestito non solo in Italia, ma anche negli scenari internazio­nali: con i clamorosi riflessi mercantili che tutti conosciamo.

Il fenomeno non è ovviamente accaduto per caso, ma è stato il frutto di un intenso lavoro di rilettura storica e critica della loro “avventura monocroma”, compiuto da un gruppo di valorosi specialist­i, nonché dell’uscita dei cataloghi ragionati della loro opera, che da un lato hanno fatto il punto sul corpus dei lavori, sgomberand­o il campo da possibili equivoci, dall’altro hanno lanciato il messaggio –assai rassicuran­te per i collezioni­sti- che su quegli artisti si sta lavorando e che si sta tenendo attentamen­te sotto controllo la loro produzione.

È ciò che da decenni fa la Fondazione Lucio Fontana, il cui rigore è leggendari­o (e temuto, ma molto efficace per la tutela dell’opera del maestro), e ciò che più di recente hanno iniziato a fare anche gli Archivi degli altri artisti. Come l’Archivio Bonalumi, guidato dal 2006 dal figlio Fabrizio che, chiamando al suo fianco Marco Meneguzzo, ha portato a compimento il lavoro già saldamente avviato dall’artista.

Lo compongono due volumi bilingui, il primo dei quali è una monografia su Bonalumi (1935-2013), nella quale Meneguzzo ripercorre la sua vicenda collocando­la all’interno delle coordinate nazionali e internazio­nali (il tedesco Gruppo Zero per tutti) in cui si è mosso in oltre 50 anni di lavoro, e scandendol­a nei suoi momenti fondamenta­li: dopo la breve stagione informale, si aprono gli «anni cruciali», tra il 1958 e il 1961, quelli del sodalizio con Piero Manzoni ed Enrico Castellani, interrotto repentinam­ente da un litigio proprio al momento della pubblicazi­one del primo numero di “Azimuth” (un fatto, ammise lo stesso Bonalumi, che condizione­rà il riconoscim­ento più tardivo del suo lavoro rispetto a quello dei due primi compagni di strada). È allora che vedono la luce le prime tele dalle morbide forme estrofless­e, che nei pieni anni ’60, quando l’artista trova il suo linguaggio più personale, si fanno nette e geometrich­e, spesso realizzate con il nuovissimo tessuto ciré. Di questi anni sono anche i suoi splendidi «ambienti», pratica nella quale Bonalumi si dimostra un vero maestro, e le prime sculture, filiazione di quella sua pittura che Gillo Dorfles già negli anni ’60 definiva «pittura-oggetto». I ’70 saranno anni di riflession­i, anche di dubbi, e genererann­o opere con forme lineari e parallele fondate su calcoli matematici ma dagli estremi anni ’80 fino all’ultimo, Bonalumi ritroverà una prodigiosa libertà, vivendo una sorta di seconda giovinezza creativa. Nel secondo tomo, il catalogo delle opere: duemila i lavori, degli anni tra il 1950 e il 2013, presenti qui (tele, ciré, vetroresin­e, bronzi, lamiere; non le carte e i multipli), dei 2500 che si sa siano stati realizzati. Come spiega Fabrizio Bonalumi, sono in catalogo tutte le opere registrate presso l’Archivio entro il settembre 2014: mancano quelle registrate dopo e quelle le cui immagini erano troppo scadenti per poter essere pubblicate. Tutte troveranno posto nel volume di aggiorname­nto previsto entro i prossimi sei anni.

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