Il genio nero di Melting
Nel festival milanese spiccano Cecilia Ligoria e la compagnia «Maniaci d’Amore» con una fe ro ce e macabra scrittura
L’idea è interessante, la formula originale: cinque gruppi under 35 hanno deciso di reagire all’isolamento, alla mancanza di interlocutori che è spesso il male di tanto nuovo teatro riunendosi in un’associazione che, in omaggio alla varietà di obiettivi e di esperienze che la caratterizza, è stata significativamente chiamata “Melting”. E l’associazione ha ora ideato un’iniziativa di promozione dei propri lavori, Melting Milano, una rassegna auto-gestita all’Elfo Puccini, dieci titoli presentati in nove giorni, tre a sera, a rotazione.
Melting Milano non è stato un vero festival, ma un progetto di valorizzazione delle compagnie, ciascuna presente con un paio di proposte. È stato un banco di prova per loro, e un’occasione di crescita per le giovani organizzatrici, che hanno già conquistato un contributo ministeriale. Non è stato un festival, ma ha funzionato come tale: gli stessi ideatori non si aspettavano che tanti spettatori scegliessero di passare lì l’intera serata, seguendo tutti e tre gli spettacoli in programma. Le cinque compagnie sono Ludwig, Idiot Savant, Eco di Fondo, Teatro Ma e Maniaci d’Amore. Sono soprattutto milanesi, e in una linea tipicamente milanese nessuna è parsa ispirata da una vena particolarmente sperimentale: ad accomunarle è piuttosto l’attenzione a una recitazione fresca, spigliata ( in città sono molte le scuole di teatro) e la ricerca drammaturgica, tesa a una reinterpreta-
| «Il nostro amore schifo» della compagnia Maniaci d’Amore.
zione della realtà in chiave per lo più ironico-grottesca. Emblematico in questo senso, mi è sembrato Vincere nella vita del Teatro Ma, una commedia nera sui miti del successo, che incrocia le storie di due coppie di frustrati con quelle di un conduttore televisivo. Il tono è brillante, ma il finale amaro: uno dei personaggi venderà la moglie online, un altro farà carriera dopo avere ucciso la prostituta che lo ricattava, e il conduttore mostrerà il pene in
diretta per esibirne le dimensioni.
Nella stessa direzione, grosso modo, andava il Romeo e Giulietta dalla verve cabarettistica recitato e cantato da Beppe Salmetti e Simone Tangolo, irresistibili nei panni dei giovani amanti. I due smontavano e rimontavano la vicenda shakespeariana, la commentavano cinicamente, la proiettavano ai nostri giorni. Alla fine, però, il tragico epilogo era comunque inevitabile. Fi- lippo Renda, nel suo Il più grande artista del mondo dopo Adolf Hitler, dal romanzo di Massimiliano Parente, puntava alla provocazione, allo sberleffo politicamente sconveniente: nel ritrarre un artista nazi-pop che si fa una fama eiaculando sull’Origine del mondo di Courbet comincia alla grande, poi eccede nell’uscire dalla parte e nel giocare col pubblico, rischiando di perdere il filo.
Mi è piaciuto Deliri del gruppo Ludwig, testo e regia di Tommaso Rossi da un libro in cui Antonella Moscati racconta il suo passato di crisi psicotiche. Mi è piaciuto il modo di evocare il disagio mentale senza angoscia, ma attraverso un doloroso bisogno di entrare nelle cose e nei sentimenti fino ai minimi dettagli. Mi è piaciuto il rapporto dell’attrice con gli oggetti, biglie di ferro, rami secchi, e coi suoni prodotti sul portatile dal compositore Attila Faravelli. E mi è piaciuta lei, Cecilia Ligorio, bravissima nel riprodurre i gesti mancati, le esitazioni di un parlato quotidiano appena velato da fissità ossessive. Ma le vere star della rassegna sono stati i Maniaci d’Amore, una coppia di talenti anomali, lei siciliana, lui pugliese, che si sono conosciuti alla scuola Holden di Torino e hanno avuto la fortuna di chiamarsi Luciana Maniaci e Francesco d’Amore, di fare lo stesso mestiere e di incontrarsi formando un duo che fin dal nome pare baciato dal destino. È raro vedere due personalità così complementari: lei petulante, fintamente sottomessa, in realtà volitiva, lui tutto scatti e balbettii nevrotici, entrambi marionette sghembe, maschere stralunate.
A Melting Milano hanno portato due spettacoli, diretti da Roberto Tarasco. Biografia della peste si basa su un’idea geniale: un ragazzo muore travolto da un’auto e la madre gli impone di fingersi vivo per non fare brutta figura di fronte al paese. Ne Il nostro amore schifo una ragazza riceve un fidanzato come dono di compleanno, e restano insieme senza piacersi, fra poesie dissennate e stragi famigliari. Ma al di là delle trame, è folgorante la loro scrittura feroce, surreale, piena di guizzi macabri, tutta al servizio di un travolgente estro interpretativo.
Melting Milano, Elfo Puccini, oggi ultime repliche