Ulisse sullo smartphone
Una campagna pubblicitaria retrò, in bianco e nero, che ammicca agli anni ’50 e ai primi filmati trasmessi dalla tivù pubblica – i sorrisi angelici, i capelli morbidamente raccolti, gli abiti eleganti – tutto come allora, soltanto che, invece di recare in mano fustini di detersivo o squisiti dadi da brodo, i protagonisti sfoggiano smartphone e tablet: è lo spot ideato per raccontare Rai Play, l’originale e nuovissimo servizio di trasmissione digitale per te, per tutti.
«Un passo avanti fondamentale nel percorso che sta trasformando la Rai in una Media Company - ha dichiarato il Direttore Generale Antonio Campo Dall’Orto -, i cittadini saranno liberi di fruire dei nostri contenuti dove e quando vogliono, avendo sempre e ovunque a disposizione tutta la nostra offerta». Di cosa si tratta, dunque? Avete presente nel film Interstellar quando il protagonista Matthew McConaughey non trova di meglio da fare che sprofondare in un buco nero (letteralmente, non si tratta di una suggestiva metafora) e si ritrova faccia a faccia con quella sterminata libreria virtuale che gli consentirà di creare un ponte spaziotemporale e di salvare il mondo? Lasciate perdere i rimandi più o meno fantasiosi alla fisica quantistica – che hanno fatto imbizzarrire gli edotti in materia, ma anche tutti gli altri – e limitatevi a ripescare alla memoria l’immagine di quegli scaffali infiniti che salgono e scendono, a mo’ di scale di Escher: ce l’avete? Bene, l’archivio Rai si presenta come qualcosa di analogo: un mondo labirintico al cui cospetto è quasi inevitabile perdere il senso dell’orientamento, ma che non per questo dev’essere temuto. Anzi! La missione di Rai Play – operazione complessa la cui messa a punto procede silenziosamente da oltre un anno – è proprio quella di garantire un bouquet sconfinato di contenuti web completamente gratuiti: dallo streaming in diretta dei 14 canali Rai, alle repliche dei programmi già andati in onda; dai concerti, ai documentari; dai film che hanno fatto la storia del nostro Paese ( Totò contro i quattro, I nuovi mostri), alle serie tv recenti ( Gomorra, American Gothic); dai cartoni animati più reazionari ( Peppa Pig) a quelli più fricchettoni ( Barbapapà), per un palinsesto ricchissimo, in costante aggiornamento.
Tra le numerose proposte, in particolare, vogliamo sottolineare una categoria che ci piace parecchio, a partire dal titolo: si tratta della sezione “I favolosi”. Al suo interno troviamo alcune chicche che hanno segnato la storia della televisione pubblica: le celebri interviste di Montanelli (a Moravia, Guareschi, Guttuso e altri), ma anche la versione integrale de I Promessi Sposi nella parodia del trio Lopez-Marchesini-Solenghi; Benigni con Vita da Cioni, l’Od issea televisiva del 1968 con Bekim Fehmiu e Irene Papas. E poi ancora, la Parietti e il suo Macao, le grandi inchieste sulla mafia di Joe Marrazzo, il varietà Milleluci del 1947 condotto da Mina e Raffaella Carrà: testimonianze quanto mai eterogenee, accumunate soltanto dal fatto di appartenere alla categoria della “favolosità”.
Che forse, azzardiamo, si trova proprio lì, in quell’avvicinare il sapore antico e rassicurante della “favola” e dei personaggi “da favola” agli splendori e le bellurie della “favolosa” tecnologia contemporanea: recuperare materiale che altrimenti andrebbe perduto e renderlo fruibile mediante le possibilità dell’oggi.
Se poi qualche mala lingua vorrà sostenere che una volta c’erano dei veri e propri contenuti da veicolare, mentre oggi siamo invasi da estenuante e deprimente chiacchiericcio catodico, ebbene, non saremo certo noi a zittirla.