La vita sulla carta
Lode e ode a Giampiero Mughini, uno degli intellettuali, dei bibliofili e degli scrittori italiani più fraintesi (causa popolarità mediatica) di questi anni. Ho riletto più volte il suo nuovo, bellissimo La stanza dei libri (Bompiani, pagg. 158, € 14,00) e ogni volta scopro lati che a prima vista sfuggono; certo perché mi perdo nel labirinto e nel fascino dei libri di cui parla: meraviglie di carta intessute di ragione, sangue e passione. Qui c’è molto di più della sua conclamata bibliofilia. Mughini ha la rarissima capacità di descrivere cosa è l’importanza e la bellezza di un libro, la sua valenza, e collocazione, all’interno di un sistema culturale ampio, che è, allo stesso tempo, personalissimo e generale. Nessuno di noi ha fatto esattamente la sua stessa traiettoria di vita: eppure in questa “autobiografia in forma di libri”, lo capisci subito che sulle cose alle quali tiene (e delle quali scrive), ha ragionato, ha vissuto, ha pensato, ha pianto, ha esultato, ha avuto torto e ragione: e ci sa dire perché. I libri di cui ci parla sono sì quelli della sua collezione (ormai in parte anche dispersa), ma sono quelli di una formazione intellettuale che ammette l’abbaglio, il ravvedimento, il dubbio, l’amarezza, la certezza, la rabbia, l’orgoglio, l’amore tardivo, il tradimento e il ritorno di fiamma. Ma che ha comunque un punto fisso, intorno al quale ruotare: la venerazione della carta stampata, e, appunto, i libri i libri i libri. E dire che qui Mughini tratta solo di alcuni lati del suo sfolgorante, per molti versi atipico,
collezionismo: la tragica esperienza degli anni 70, quelli brigatisti e incredibilmente violenti, letti attraverso carte incommentabili che davvero grondano molto sangue e niente pietà e sono l’inoppugnabile certificazione “grafica” di un orrendo delirio collettivo; la gloria e l’addio al futurismo, passione coltivata quasi in solitudine (fa eccezione il grande Pablo Echaurren) ma con crescente e sapiente consapevolezza, omaggio all’unica vera avanguardia europea che ha avuto l’Italia; l’innamoramento per i libri d’artista, compresa qualche puntata nel porno. È un regesto commovente e sincero, questo, di amore bruciante e di testimonianza fiera di ciò che è stato il mondo del libro (ma perché «è stato»?: di ciò che è il mondo della carta stampata, e al diavolo i twittaroli da baraccone e gli amici degli amici che si fanno l’occhiolino su facebook): ed è un mondo che non tramonta o, almeno, lo farà con molta più lentezza e testardaggine di quanto ci si immagini (ivi compresi i maestri librai, ed ecco qui i ricordi tenerissimi di Roberto Palazzi e Jean de Loof). E se anche tramonterà, beh... sarà il mondo ad avere avuto torto: perché non dirlo? Mughini i libri li ha amati, li ama, di un amore pieno, filiale e nuziale al tempo stesso: ha collezionato non per avere (figuriamoci per investire!), ma per “sapere”, per conoscere. Il suo mirabolante catalogo del futurismo è – lo scrivo con parole sue, che avrebbe voluto sentirsi dire anni fa, e a ragione, perché sono perfette – un documento culturale importante, che rende palpitante e dà luce a un frammento di storia culturale ed editoriale e vale cento volte un corso universitario. E lo stesso vale per i ragionamenti e gli esempi sul «libro d’artista» (e la dedica in epigrafe a un altro sommo libraio, Giorgio Maffei, è sentita, condivisa, doverosa: ci ha insegnato tanto, a tutti noi bibliofili...), amati per un motivo in più: che sono la oggettivazione più prossima e rivendicazione esplicita di quanto noi sappiamo per istinto e confusamente: i libri lo sono, opere d’arte. Si chiude con un articolo che sembra strampalato: è dedicato a un ginnasta, Igor Cassina, e al suo meraviglioso «movimento». Scopriamo che Mughini praticava la ginnastica e la sbarra in particolare e che ha abbandonato presto lo sport agonistico, ma nel cuore ha tenuto un posto per quella passione e quella armonia, ed ecco, ad anni di distanza, la comprensione e la commozione davanti a quel sublime gesto del campione. C’entra con i libri? C’entra: perché quello è un momento in cui si manifesta una verità, e anche una sconfitta personale acquista un senso più alto. «E anche i libri che così tanto amiamo che altro raccontano se non le sconfitte di noi che siamo al mondo, una donna che ti ha detto “non voglio”, un lavoro professionale venuto male, la vita che ogni giorno va via e scema?». Se questo non è un «movimento Mughini» e non ci sentite uno scrittore, siete una causa persa. Ma perché perdere tanto tempo su effimere fesserie internettiane? Una “stanza dei libri” è per sempre ed è la nostra identità, ed è la “nostra” storia. I libri sono la risposta, e loro ci saranno testimoni. E loro lo sanno. Ancora non vi basta?