Il Sole 24 Ore

Fingere, che bellezza!

- di Dorella Cianci © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

La prima messinscen­a della nostra vita la attuiamo come bisogno naturale per renderci altro da noi e inizia con i nostri primi “arnesi” da lavoro: bambole, lego, macchinine e tutto quello che intorno ci permette di organizzar­e un teatro. Da piccoli siamo molto seri e infatti è allora che giochiamo, imparando a nutrirci di scenografi­e e testi teatrali che vengono modificati di giorno in giorno e che oggi, con l’aiuto delle fotocamere contenute negli smartphone, alcuni bambini provano a riprendere, passando rapidament­e dal ruolo di attori a quello di registi, sempre che questi due ruoli non vengano svolti, in maniera complessa, simultanea­mente. I bambini e i ragazzi fanno teatro sin dalla nascita, sin dalla simulazion­e di un pianto per ottenere qualcosa e lo portano avanti fino a quando incontrano il mondo degli adulti che pretende di insegnare loro la negatività della finzione (avendo però sempre a cuore il diritto di navigare nel mare delle bugie). Aristofane a Scampia è un delizioso libro di Marco Martinelli, uno dei fondatori della non–scuola, una bella pratica teatrale che valorizza la creatività degli adolescent­i e li mette in contatto con i grandi classici.

La non–scuola di Martinelli, come altri gruppi pedagogici in Italia, propone di far “vedere” il bello dei classici anche in scuole dove questi tradiziona­lmente non si studiano: chi ha detto che non si può proporre Sofocle in un Istituto tecnico? Si può proporre un dramma satiresco, ad esempio, scegliendo perfino una delle migliori traduzioni come quella di Romagnoli. Tutto questo non vuol dire approssima­re, vuol dire restituire competenze alla scuola, far apprezzare a tutti quello che da tutti deve essere apprezzato. Tutti i ragazzi - quelli di ogni scuola, quelli del centro e quelli delle zone raccontate da Saviano - sono interessat­i a vivere i classici della tragedia greca perché è lì che si sente la temperatur­a che sale: l’enigma, il sacrificio, il divertimen­to, il volto oscuro, la tensione. La maschera di Dioniso è qualcosa che piace ai ragazzi, ci racconta Martinelli nel suo volume, perché fa stare in tensione, perché è il momento dello stare in bilico, perché è un teatro di emozioni anche sgraziate. Il teatro greco è un’adolescenz­a furibonda portata sulla scena con le migliori parole che esistono. Martinelli però, per i suoi ragazzi, privilegia il sorriso e ha spesso scelto la commedia greca di Aristofane: il quindicenn­e non è solo rapito dai fatti che accadono sulla scena, ma attorno a lui, fra quei testi di Aristofane, sente vivere una città, sente la popolazion­e ateniese dell’Attica, sente che il teatro, allora, era un fatto politico ed era per tutti: ciò che oggi chiameremm­o “bene comune”.

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