Come trasformare l’anidride carbonica in opportunità
Per raggiungere i target di Parigi non basteranno i tagli alla CO2: dall’energia alle batterie bisogna farla divent are una risorsa
a La Terra è sempre più calda. Quest’anno le centrali, le fattorie e le auto in circolazione nel mondo scaricheranno in atmosfera circa 60 miliardi di tonnellate equivalenti di CO2, che si aggiungeranno ai gas serra prodotti in passato, a partire dalla rivoluzione industriale, intrappolando i raggi infrarossi che scaldano il pianeta. In questo modo, le emissioni umane hanno già provocato un aumento della temperatura media di oltre un grado centigrado rispetto ai livelli pre-industriali. L’ultimo “State of the Climate”, pubblicato come supplemento speciale al Bulletin of the American Meteorological Society, conferma che «il 2015 ha superato il 2014 come l’anno più caldo mai registrato a partire almeno dalla metà del XIX secolo». E il 2016 è ben avviato per battere anche questo record.
Gli oltre 450 scienziati provenienti da 62 Paesi, che hanno realizzato il check-up del pianeta, certificano che «la maggior parte degli indicatori del cambiamento climatico continuano a riflettere trend coerenti con il riscaldamento globale». Fra i trend principali c’è l’aumento dei gas serra: nel 2015 la concentrazione media di CO2 è arrivata al livello record di 399,4 parti per milione, rispetto alle 397,2 ppm del 2014. La temperatura media della superficie terrestre e di quella oceanica sono state le più alte mai registrate e il livello medio dei mari ha superato di 7 centimetri quello osservato nel 1993, primo anno delle misurazioni satellitari. Sono cambiamenti destinati a durare e il tempo necessario per contrastarli sta finendo.
L’accordo di Parigi, firmato da 177 Paesi, punta a contenere il riscaldamento del clima entro i 2°C, ma è già chiaro che per conseguire questo risultato non basterà ridurre le emissioni umane a zero entro il 2085. Le emissioni negative svolgeranno un ruolo centrale per colpire il target. In base a un recente studio del National Center for Atmospheric Research americano, per evitare di sforare i 2°C bisogna concentrarsi sulle tecnologie di rimozione dell’anidride carbonica. Per Benjamin Sanderson, il principale autore del rapporto, applicando i piani nazionali presentati a Parigi esauriremo molto più rapidamente del previsto il carbon budget planetario: per correggere il tiro dovremmo riuscire a rimuovere dall’atmosfera almeno 15 miliardi di tonnellate di CO2 l’anno entro la fine del secolo.
Le emissioni negative non sono un’idea nuova. Già l’Ipcc aveva incluso questo concetto nel suo ultimo rapporto del 2014, con l’avvertenza che si tratta di una prospettiva altamente incerta, perché le tecnologie sono ancora tutte da dimostrare e gli scienziati non hanno valutato i rischi che questa rimozione può comportare. Nessuna delle tecniche conosciute, ad oggi, è pronta per essere applicata su vasta scala, per immaturità tecnologica, per i costi esorbitanti e per i potenziali rischi ecologici. La cattura e lo stoccaggio della CO2 (comunemente chiamato Ccs) prevede l’intercettazione del gas prodotto da centrali elettriche e altri impianti, per iniettarlo in profondità, in generale nei giacimenti esauriti, dove non può fare nulla di male. Ma il Ccs è una tecnica costosa e ancora poco sperimentata. Resta il dubbio che il gas riesca a uscire, alla lunga, tornando in atmosfera. Bastano piccole fessurazioni nelle rocce in cui viene confinato per lasciarlo sfiatare, annullando gran parte del beneficio. Da qui i tentativi di Juerg Matter (illustrate qui accanto, ndr) di fissare la CO2 mineralizzandola, in modo che resti sottoterra. Una procedura che risolve l’incertezza ambientale, ma non il conto economico del Ccs.
Altro sarebbe riuscire a convertire la CO2 in una materia prima utile, ad esempio per il riutilizzo nell’ambito della produzione energetica. Questa è la strada seguita da molti scienziati, nella convinzione che solo conferendo un ruolo centrale a questo gas ormai considerato il male assoluto, crescerà l’inte- resse economico a rimuoverlo dall’atmosfera per valorizzarlo. Il riciclo della CO2 in funzione energetica è un settore di ricerca che sta diventando molto affollato, proprio per le sue straordinarie ricadute, che potrebbero essere riassunte nella classica cattura di due piccioni con una fava: ricavare valore dove prima non c’era e contribuire a combattere l’effetto serra. La “foglia artificiale” creata dagli scienziati dell’Argonne National Laboratory, di cui parliamo qui accanto, è uno dei tentativi più avanzati per trasormare la CO2 in monossido di carbonio, base per combustibili come il metanolo, l’etanolo e il diesel. Nella stessa direzione è andato un team di ricercatori dell’Università di Toronto, grazie alle nanotecnologie e a un catalizzatore nobile: l’oro. Il loro processo di riduzione è talmente rapido da farli entrare in competizione con i comuni elettrolizzatori commerciali.
Ancora più in là si spingono gli scienziati della Vanderbilt e della George Washington University, che hanno ricavato dalla CO2 nanotubi di carbonio in grado di migliorare le prestazioni delle batterie al litio. «Questo approccio non solo produce batterie migliori, ma stabilisce anche un valore per la CO2 recuperata dall’atmosfera, valore che è associato al costo della batteria per l’utente finale», precisa Cary Pint, professore di ingegneria meccanica all’Università di Vanderbilt. Con il costo delle batterie a 325 dollari per kilowattora, un chilo di CO2 usato in questo modo assume un valore di 18 dollari, sei volte superiore al valore della CO2 convertita in metanolo, sostiene Pint. Viva la competizione.