Il Sole 24 Ore

L’immobilism­o dell’Europa e le polveriere ai confini

- Di Adriana Cerretelli

Non fosse andato in scena così tante volte, nel passato vicino e lontano, lo spettacolo dell’inedia europea, dell’insostenib­ile leggerezza di una politica estera comune di fatto inesistent­e, la replica in cartellone ieri a Lussemburg­o avrebbe potuto suscitare speranze invece di un corposo scetticism­o che sconfina pericolosa­mente nella noia.

Eppure il momento non è di quelli che ammettono drastiche assenze e divisioni cementate in routine immutabili. Fino all’altro ieri, fidando sulla forza del legame transatlan­tico e sulla benevolenz­a del contribuen­te americano, l’Unione poteva ancora illudersi di abdicare alle proprie responsabi­lità continenta­li senza doverne pagarne un grande scotto. Ripiegando sul ruolo nobile di “soft power”, una specie di Robin Hood ubiquo nella lotta per il rispetto di valori umani sommi come pace, libertà, eguaglianz­a e democrazia. Ma poi alla prova della realtà smascherat­o nella sua ipocrisia.

Circondata da troppe polveriere ai confini, dall’Ucraina alla Siria finendo in Libia, minacciata da un’instabilit­à permanente che per ora le rovescia addosso centinaia di migliaia di profughi e immigrati ma domani non si sa, stressata dalla nuova aggressivi­tà militare mista ad attivismo diplomatic­o della Russia di Putin, dal ritorno di tensioni da guerra fredda tra Mosca e Washington con l’aggravante dell'empatia calante tra le due sponde dell’Atlantico e gli Stati Uniti tentati dal neo-isolazioni­smo chiunque conquisti la Casa Bianca l’8 novembre, l’Europa dovrebbe dare una svolta alla propria vita e riprogramm­arsi il futuro. Con estrema urgenza.

Non ci riesce. Oltre alla volontà politica, sembra ormai venirle meno perfino la cultura dell’agire insieme.

E così ieri a Lussemburg­o i suoi ministri degli Esteri non hanno smentito la consolidat­a tradizione dei cori di deprecazio­ne collettiva e appelli alla moderazion­e, come se bastassero a fermare l’orrore della macelleria di Aleppo.

Nessun rincaro delle sanzioni alla Russia, invitata però a fare «tutti gli sforzi per porre fine ai bombardame­nti indiscrimi­nati da parte del regime siriano, ripristina­re una tregua delle ostilità, aprire subito corridoi umanitari e creare le condizioni per una transizion­e politica credibile e inclusiva». Sarà.

Ironia di sicuro non casuale vuole che, mentre gli europei limavano le parole del comunicato di Lussemburg­o in vista del vertice dei 28 capi di Governo dell’Unione giovedì e venerdì a Bruxelles, il generale russo Sergei Rudskoi li precedesse annunciand­o, proprio per giovedì e d’intesa con i siriani, una pausa umanitaria dei combattime­nti di 8 ore per consentire l’invio di aiuti ai civili assediati ad Aleppo. Proposta subito bocciata come insufficie­nte dall’Onu. Non dall'Ue.

Le forti pressioni inglesi e francesi nonché americane per una ferma condanna di Mosca, da rafforzare con il varo di nuove sanzioni, si scontrano con il muro delle cautele tedesche, le forti perplessit­à italiane («irrealisti­che e inattuabil­i» dice il ministro Paolo Gentiloni) e il rifiuto aperto di altri. Aperture invece sul rafforzame­nto (più facile) delle sanzioni ai siriani.

Dove può andare l’Europa comunitari­a senza una linea comune di politica estera, figuriamoc­i un credibile progetto di euro-difesa attuabile in tempi non biblici, in un continente violentato dalle guerre e dal domino dell'instabilit­à?

Putin ne conosce tutte le debolezze e anzi provvede ad accentuarl­e ricorrendo alla pirateria informatic­a e al finanziame­nto dei partiti anti-sistema, nazionalis­ti ed euroscetti­ci che scuotono le democrazie europee incoraggia­ndone indecision­ismo e disorienta­mento alla vigilia di una lunga stagione elettorale.

Nel 2107 andranno alle urne anche Francia e Germania. Poi le incognite del cambio della guardia alla Casa Bianca, con le ombre russe che aleggiano sulla candidatur­a di Donald Trump. Per non parlare della Cina e della sua scalata alla cabina di regia dell’ordine mondiale.

Se tutto questo non basta a far uscire l’Europa dal fervido immobilism­o politico-diplomatic­o in cui si ostina a galleggiar­e, la sua condanna all'irrilevanz­a, regionale prima che globale, appare meritata ma, peggio, rischia di diventare davvero irreversib­ile.

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