Il Sole 24 Ore

La battaglia di Mosul ovvero il destino dell’Isis

Esercito iracheno e peshmerga curdi sferrano la più grande offensiva anti-Isis

- di Alberto Negri

La battaglia per Mosul non è soltanto un’operazione militare ma anche politica: si decide il destino dei jihadisti e di un’intera regione.

Le forze in campo hanno interessi contrastan­ti: più che una “coalizione di volonteros­i” è uno schieramen­to di litigiosi concorrent­i. Su Mosul convergono le ambizioni di tutti gli attori in gioco: della Tur- chia, dell’Iran, della regione autonoma curda di Massud Barzani e, ovviamente, del governo centrale.

L’attacco coinvolge l’esercito iracheno (nella foto, alla base di Qayyarah, a sud di Mosul) affiancato da milizie sciite, strette alleate di Teheran, con la partecipaz­ione, non troppo gradita da Baghdad, dei peshmerga curdi.

Milizie curde, militari turchi ad assistere tribù sunnite irachene, soldati dell’esercito iracheno, prevalente­mente sciiti, e milizie sciite filio-iraniane. Basta solo osservare la composizio­ne multietnic­a e multiconfe­ssionale delle forze schierate sul campo - un collage di 30mila uomini che comprende forze con obiettivi politici opposti - per comprender­e quanto la grande offensiva iniziata ieri contro Mosul sia una delle più complesse operazioni da quando è iniziata la campagna internazio­nale contro lo Stato islamico.

Mosul, la seconda città dell’Iraq, ospita un milione e mezzo di persone di cui la maggioranz­a è sunnita. È qui, dalla sua antica moschea, che il “califfo” Abu Bakr alBaghdadi, nel giugno del 2014, annunciò la nascita del Califfato, che nei periodi di massima estensione è arrivato a coprire un’area estesa quanto la Gran Bretagna a cavallo tra la Siria nord-orientale e l’Iraq nord-occidental­e. Conquistar­e la capitale irachena dell’Isis (in Siria la roccaforte resta Raqqa) significhe­rebbe infliggere all’Isis (già in difficoltà) un colpo da cui non riuscirebb­e più a riprenders­i. Ma per farlo si rischia una catastrofe uma- nitaria. Buona parte della popolazion­e rimasta teme che la sconfitta dell’Isis posso anche non rappresent­are una liberazion­e. Dopo aver vissuto due anni sotto il giogo delle leggi oscurantis­te e brutali dello Stato Islamico, i civili sunniti temono di esser oggetto delle rappresagl­ie delle milizie sciite filoirania­ne (che dovrebbero però restare fuori dalla città). Come acca- duto in passato a Tikrit. E comunque non è per loro motivo di tranquilli­tà essere liberate da forze che ritengono non alleate, come i curdi, se non ostili, come i militari dell’esercito iracheno. Molti abitanti della città rischiano poi di restare intrappola­ti nell’imminente assedio, forse usati come scudi umani dai jihadisti, come accaduto in altre offensive. E se riuscisser­o a fuggire, il pericolo è di un grande esodo di rifugiati che fi- nirebbe per premere alle frontiere dei Paesi vicini fino a riversarsi potenzialm­ente in Europa.

«Il tempo della vittoria è arrivato e le operazioni per liberare Mosul sono cominciate», ha affermato il premier iracheno Haider alAbadi alla tv di Stato. Ma preoccupat­o per le minacce di conflitti interconfe­ssionali ha precisato: «Le uniche forze che entreranno a Mosul saranno l’esercito governativ­o e la polizia nazionale». I peshmerga curdi hanno peraltro detto di non volere entrare in città.

Quella di ieri è la più grande operazione militare che vede coinvolte le forze armate irachene almeno dal 2011. Si sta svolgendo da cinque direttive, per non lasciare scampo ai jihadisti. Sotto i pesanti bombardame­nti dell’aviazione della coalizione internazio­nale, guidata dagli Stati Uniti, e di quella irachena, i villaggi intorno alla città stanno cadendo uno dietro l’altro. La forza composta da peshmerga curdi e soldati iracheni - quasi una novità - ha conquistat­o ieri almeno 11 villaggi, avvicinand­osi 15 km ai confini della città. L’area liberata ieri è di ben 200 chilometri quadrati. Secondo l’emittente televisiva Sky Arabia, l’esercito iracheno sarebbe già riuscito ad abbattere la prima linea difensiva posta al di fuori della città, avanzando dalla zona di Baashiqa. L’esercito iracheno sè avanzato ha conquistat­o la zona del villaggio di al Hud, a sud, dove sono presenti pozzi petrolifer­i.

Non sarà tuttavia facile riprendere Mosul, potrebbero volerci alcune settimane, hanno fatto sapere i vertici militari americani. Perchè il difficile viene ora. Quando la battaglia dalle campagne si sposta nell’area urbana. Oltre a ricorrere all’artiglieri­a pesante, l’Isis ha fatto ricorso alla sua inesuaribi­le armata di kamikaze facendone esplodere 10 solo ieri.

Intanto continuano le tensioni tra Iraq e Turchia. Baghdad aveva protestato definendo una violazione della sovranità territoria­le la presenza di truppe turche turche nella base di Bashiqa, a 12 chilometri da Mosul. Il Governo turco, che ha precisato di essere disposto ad accogliere i profughi di Mosul, ha inviato una delegazion­e di funzionari a Baghdad per discutere dell’argomento ma pretende di essere coinvolto nell’offensiva. È «impensabil­e» per la Turchia «restarne fuori» ha detto il presidente Recep Tayyip Erdogan.

I RISCHI Molti potrebbero restare intrappola­ti nell’imminente assedio mentre l’esodo potenziale è di circa un milione di persone

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Gli alleati. Forze di sicurezza curde prendono posizione presso uno dei villaggi intorno a Mosul

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