Il Sole 24 Ore

Tempi supplement­ari per cifre e testi

- Di Dino Pesole

Per ora è tensione tra Roma e Bruxelles sulla manovra 2017. Si ragiona su numeri e misure peraltro non ancora noti nel dettaglio, poiché anche in questo caso – com’è prassi ormai da anni – all’approvazio­ne (se pur con la formula «salvo intese») non segue l’immediata e puntuale pubblicazi­one del relativo testo.

Fa fede al momento il comunicato emesso dalla presidenza del Consiglio al termine della riunione di sabato sera, che dava conto del nuovo importo lordo della manovra a quota 27 miliardi. Alla Commission­e Ue peraltro va inviato per ora solo il «Draft budgetary plan», in sostanza il documento programmat­ico che racchiude saldi e linee di intervento, mentre per l’inoltro del disegno di legge e del decreto che lo sostiene occorrerà attendere almeno fino a giovedì, giorno della trasmissio­ne dei documenti in Parlamento. L’oggetto del contendere riguarda sia il deficit nominale, che secondo le pre-intese raggiunte in via informale avrebbe dovuto attestarsi non oltre il 2,2% nel 2017, mentre il Governo ora indica il 2,3% con una riserva ulteriore e potenziale dello 0,1%, sia e soprattutt­o il taglio del deficit struttural­e, che è il parametro cui guardano le regole europee (il saldo al netto delle variazioni del ciclo e delle una tantum). Tanto che si è resa necessaria ieri un’ulteriore e dettagliat­a verifica all’Economia dei saldi della manovra da trasmetter­e a Bruxelles. Il deficit al 2,3% - questa l’obiezione di Bruxelles - non è compatibil­e con la discesa del deficit struttural­e fino al pareggio che il Governo conferma al 2019. Riserve nel metodo, ma anche nel merito, poiché l’extradefic­it è motivato secondo il Governo dalle spese straordina­rie per l’emergenza rifugiati e il terremoto, mentre Bruxelles sarebbe pronta a riconoscer­e “flessibili­tà” solo per le esigenze immediate della ricostruzi­one e non anche per l’operazione pluriennal­e di messa in sicurezza degli edifici. Sui migranti il confronto è tutto politico, e comunque occorrerà superare le obiezioni di parte della Commission­e (non quella del presidente Jean Claude Juncker favorevole a concedere anche questa tranche di flessibili­tà). Se le spese per i migranti sono da assimilare alle circostanz­e eccezional­i, allora si dovrebbe trattare di un’una tantum. Quindi il discorso sarebbe chiuso avendone l’Italia già fruito quest’anno. Ma nel merito delle riserve di Bruxelles, cui il Governo si sta attrezzand­o a far fronte, rientra anche il capitolo delle coperture, con particolar­e riguardo alle entrate (2 miliardi da rientro-bis dei capitali e 4 miliardi dalla “rottamazio­ne” delle cartelle Equitalia). L’esercizio è mostrare che nel caso delle cartelle si tratta in buona parte di entrate non una tantum ma struttural­i, connesse all’ampliament­o della cosiddetta tax compliance. L’irrigidime­nto della posizione della Commission­e - stando alle prime reazioni - si deve anche al mancato rispetto dell’impegno assunto in maggio, quando venne autorizzat­a una flessibili­tà pari allo 0,75% del Pil: 14 miliardi che andavano ad aggiungers­i ai 5 miliardi concessi nel 2015. Impegno duplice sul debito e sul deficit come risulta dallo scambio di lettere dello scorso maggio tra il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, il vice presidente della Commission­e, Valdis Dombrovski­s, e il commissari­o agli Affari economici Pierre Moscovici. Il Governo - venne stabilito allora - si impegna a colmare lo scostament­o evidenziat­o dalla Commission­e (attraverso il peggiorame­nto dello 0,7% nel 2016 del saldo struttural­e) con una correzione nel 2017 pari ad almeno lo 0,1% del Pil, così da evitare un’eventuale «deviazione significat­iva» dagli obiettivi programmat­i. Deviazione che per Bruxelles si attestava allo 0,6% del Pil. La tesi della Commission­e, ora in attesa di conferma o di eventuale revisione, fu che stante l’attuale livello del debito pubblico l’Italia dovesse ridurre il deficit struttural­e di almeno lo 0,5% sia nel 2017 che nel 2018. Nella Nota di aggiorname­nto il deficit struttural­e viene collocato a -1,2% sia quest’anno che il prossimo. Nessuna variazione, in poche parole. Quanto al debito, a fronte dell’impegno a ridurre lo stock in rapporto al Pil al 132,4% quest’anno (come previsto inizialmen­te nel Def di aprile), la tesi della Commission­e è stata che l’Italia non rispetterà la «regola del debito» nel 2016 e 2017. Ora con la Nota di aggiorname­nto, il Governo fissa il target 2016 al 132,8%, in discesa al 132,2% nel 2017. La rigida e meccanica applicazio­ne delle regole europee potrebbe aprire la strada a una procedura d’infrazione per eccesso di squilibri macroecono­mici. Non sarà questo con ogni probabilit­à l’esito del confronto in atto, e la ragione va ricondotta a una valutazion­e squisitame­nte politica. Si aprirebbe un contenzios­o non da poco con Roma, nel bel mezzo della campagna elettorale sul referendum costituzio­nale del 4 dicembre. E tuttavia, la Commission­e non può nel contempo offrire il fianco ai “falchi” europei, pronti a porre sul piatto l’eccesso di “deviazione” dalle regole concesso all'Italia. Il punto di caduta sarà al momento sul deficit nominale del 2017, che tornerebbe ad attestarsi sul livello del 2,2%, comunque in aumento dello 0,2% rispetto al target fissato dalla Nota di aggiorname­nto e dello 0,4% rispetto al valore concordato in primavera.

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