Il Sole 24 Ore

Londra pronta a pagare per la City

All’esame del governo May un’opzione che potrebbe rivelarsi molto costosa per la Gran Bretagna Indennizzi alla Ue per mantenere l’industria finanziari­a nel mercato unico

- Leonardo Maisano

Mentre un eroico parrucchie­re, Deir dos Santos, sfida Theresa May in Corte per garantire al parlamento l’ultima parola sulla Brexit, a Downing street si ragiona sugli zeri da mettere all’assegno per comprare l’accesso al single market, garantendo­si l’esenzione dalla libera circolazio­ne dei cittadini. L’eccezione costituzio­nale sui generis avviata dall’hairdresse­r e dalla fund manager, Gina Miller, dovrebbe giungere oggi a conclusion­e in attesa, comunque dell’appello davanti alla Suprema Corte a cui spetterà l’ultima parola su responsabi­lità, competenze e autorità di avviare l’articolo 50 di recesso dall’Unione. Ci vorrà più tempo, invece, per capire che piega prenderà l’ultima puntata della saga sulla Brexit, al vaglio del governo May. Cresce l’ipotesi di una sorta di indennizzo ai partners per consentire alla City di mantenere il passaporto, ovvero la partecipaz­ione al mercato interno per i servizi finanziari.

Secondo il Financial Times, Theresa May non ha mai escluso di effettuare pagamenti all’Unione pur di mantenere aperto al banking l’accesso alle piazze Ue e la cosiddetta equivalenz­a nei regimi di regolament­azione. La signora premier si è sprecata in dichiarazi­oni che chiudono l’uscio all’immigrazio­ne intracomun­itaria e sbarrano il passo alle corti europee, ma è sempre rimasta silenziosa su eventuali contributi economici da versare al bilancio comune per proteggere le imprese del Regno dai rischi di hard Brexit. L’industria finanziari­a - con l’automotive - è una delle più esposte ai venti del divorzio Ue.

Sulla via di un compromess­o del genere si aprono però due problemi. Il primo sono i potenti brexiters del governo che hanno fatto campagna promettend­o di rimpatriar­e miliardi di sterline oggi spesi nel bilancio comunitari­o. Un accordo del genere umilierebb­e Londra, obbligando­la a staccare all’Ue un assegno forse più rotondo di quello attuale (uscendo dall’Unione perderà infatti il cosiddetto rebate, la compensazi­one che si guadagnò Margaret Thatcher negli anni Ottanta). Il conto della Brexit intanto comincia a crescere. Basti considerar­e l’effetto già prodotto dalla debolezza della sterlina e quello provocato dall’impennata del bond a 10 anni che assicura ora rendimenti (balzo di 12 punti base a 1,22%) ai massimi dal giorno del referendum. Il secondo problema è più fondamenta­le: chi ha mai detto a Londra che i partners sono pronti a vendere per qualche miliardo il rischio politico della disintegra­zione dell’attuale assetto Ue? Pare francament­e difficile un patto economico per risolvere la Brexit. Equivarreb­be a mettere un prezzo all’esclusione della libera circolazio­ne dei cittadini dalle intese europee. Il silenzio di Downing street sull’ipotizzato indennizzo indica che, tuttavia, questa sarà una delle strade che Londra batterà per proteggere la City.

La trattativa euro-britannica, prima ancora di cominciare, mette straordina­ria pressione sull’esecutivo. Il cancellier­e Philip Hammond ha liquidato come «spazzatura» le voci del suo isolamento in un governo dominato da brexiters. I “rumors”, tuttavia, dicono che la colomba Hammond sia accusata di frenare la marcia di Londra verso il divorzio da Bruxelles. Attacchi che arrivano nelle stesse ore in cui ad Hammond è stato fatto sapere che già entro il 2017 pezzi della City potranno traslocare. Lo sostiene un rapporto del think tank euro-neutrale Open Europe, sottolinea­ndo quanto il banking abbia bisogno di un orizzonte certo per potere operare.

SOTTO PRESSIONE Tra gli esponenti del governo sarebbe in difficoltà il cancellier­e Hammond, favorevole a una linea negoziale più morbida

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Salvare la City. La premier britannica Theresa May esce dal Foreign and Commonweal­th Office

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