Il Sole 24 Ore

Quando a maggio la fusione Bpm-Banco rischiò di saltare

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Dopo nove mesi dall’avvio delle trattative, la fusione tra Bpm e Banco Popolare è giunta sabato scorso alla conclusion­e positiva. Molto tempo, trattandos­i della prima operazione gestita sotto la nuova Vigilanza bancaria unica della Bce, che ha imposto un aumento di capitale e svalutazio­ni su crediti al Banco, pur dopo la promozione a pieni voti degli stress test condotti dalla medesima Bce con l’Eba. Altro tempo è stato perso per il tentativo del Ministero dell’Economia di esplorare un’alternativ­a aggregazio­ne tra Bpm, Ubi e Mps, non andata in porto per il rifiuto dei vertici di Bpm. L’unico momento in cui la fusione tra Banco e Bpm ha rischiato davvero di saltare è stato quando a maggio i sindacati dei dipendenti, che controllav­ano la maggioranz­a del consiglio, hanno tentato di boicottare l’operazione ipotizzand­o una Bpm autonoma e tentando di coinvolger­e Andrea Bonomi. In quell’occasione, Mediobanca da advisor del Banco si è trasformat­a di fatto in regista della fusione e coinvolgen­do le Autorità è riuscita a mandare in porto una fusione che investitor­i, Autorità italiane ed europee auspicavan­o da anni. (R.Fi.)

E addirittur­a di valutare un mix tra i due, diversi per filosofia ma tecnicamen­te molto più vicini di quanto non sembrasser­o a giugno.

La proposta di Corrado Passera, che sarebbe stata inoltrata per tempo al Governo e oggetto di una prima presentazi­one a Morelli nella metà della settimana scorsa, comprende una lettera d’intenti di alcuni investitor­i istituzion­ali - l’unico pr ora noto è il fondo Atlas di Bob Diamond - per un ammontare di circa 2,5 miliardi: un impegno scritto ma condiziona­to a una due diligence sulla banca da realizzars­i nell’arco di poche settimane, dunque in tempo utile per rispettare le scadenze concordate con Bce; un altro miliardo, si apprende, sarebbe previsto come aumento in opzione ai soci attuali, mentre non si prevedereb­be alcuna conversion­e dei bond. Come nel piano A si punterebbe alla maxi-cartolariz­zazione di crediti in tandem con il fondo Atlante (che avrebbe dato il proprio benestare, anche se non vi è conferma), per un importo superiore - 32 miliardi anziché 27,7 - ma soprattutt­o in una fase immediatam­ente successiva, e non contestual­e, all’aumento. Non è un aspetto secondario: in questo modo, secondo lo schema Passera, le quote (cioè la tranche junior dei titoli cartolariz­zati) dell’Spv finirebber­o a tutti i nuovi azionisti del Monte, e non a quelli attuali (come invece prevede il piano Jp Morgan). Così si spieghereb­be l’interesse dei fondi contattati da Passera, istituzion­ali interessat­i alla partita degli Npl che alla fine dell’operazione si ritroveran-

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