BB Biotech «punta» sulla neurologia L’incognita del voto per la Casa Bianca
Il fondo chiuso punta anche su oncologia e malattie rare Ridotto lo sconto sul Nav - Il settore in Borsa resta volatile
BB Biotech è un fondo chiuso, quotato a Piazza Affari, Francoforte e Zurigo che investe nel mondo delle biotecnologie. Quest’ultimo, a ben vedere, è un settore che da un lato, oltre a competenze finanziarie, richiede conoscenze scientifiche; e dall’altro deve essere maneggiato con cura. Soprattutto a fronte delle prossime elezioni presidenziali negli Stati Uniti. Il voto per la Casa Bianca, infatti, potrà influenzare i titoli biotecnologici e con esso il più ampio settore del «pharma». Anzi: la lunga campagna elettorale ha già impattato entrambi i due comparti. Ciò detto, quali le indicazioni rispetto mondo delle biotecnologie? BB Biotech risponde che il Nasdaq Biotechnology index (Nbi), dovrebbe restare volatile fino alla data delle elezioni. Poi: nel caso di vittoria della Clinton le prospettive sono per un miglioramento in quanto, da una parte, le sue intenzioni sono già chiare; e, dall’altra, l’impatto delle politiche sui farmaci dovrebbe riguardare soprattutto prodotti tradizionali da tempo sul mercato. Quindi non il biotech. Nell’ipotesi, invece, di Donald Trump alla Casa Bianca? La situazione sarebbe più incerta, conclude BB Biotech. Soprattutto perchè non c’è chiarezza riguardo alle sue proposte. Ciò detto quali i settori cui il fondo chiuso guarda con maggiore interesse? Qui la società prosegue il focus, tra le altre cose, sui settori dell’oncologia e delle «orphan disease». E poi guarda alla frontiera delle cure delle malattie neurologiche.
BB Biotech è un fondo chiuso, quotato a Piazza Affari, Francoforte e Zurigo che investe nel mondo delle biotecnologie. Quest’ultimo, a ben vedere, è un settore che da un lato, oltre a competenze finanziarie, richiede conoscenze scientifiche; e dall’altro deve essere maneggiato con cura. Soprattutto a fronte delle prossime elezioni presidenziali negli Stati Uniti. Il voto per la Casa Bianca, infatti, potrà influenzare i titoli biotecnologici e con esso il più ampio settore del «pharma».
Già, il «pharma». In realtà, sottolineano gli esperti, l’impatto su di esso già c’è stato. Un effetto negativo avviato il settembre del 2015 quando Hillary Clinton, candidata democratica, ha presentato un programma per evitare (anche in scia al caso dell’ EpiPen della Mylan) l’ingiustificato rincaro dei prezzi dei medicinali. Ebbene: alcuni analisti, ipotizzando la vittoria della Clinton all’80% e al 70% la chanche di attuare il suo programma, hanno stimato che il settore «pharma» avrebbe dovuto sottoperformare, dall’annuncio dell’ex Segretario di Stato, di circa l’11%. La dinamica negativa, nella realtà, è stata intorno all’8%.
Di fronte a simili numeri gli esperti, al di là delle percentuali in sé, sottolineano da un lato che il rischio-elezioni è in grande parte scontato nei prezzi. E, dall’altro, che la vittoria di Hillary non dovrebbe causare ulteriori scossoni. Anche perchè le case farmaceutiche hanno finanziato la sua campagna. Quindi è difficile ipotizzare ulteriori interventi «punitivi» contro di esse.
Ciò detto, quali le indicazioni rispetto al più limitato mondo delle biotecnologie? BB Biotech risponde che il Nasdaq Biotechnology index (Nbi), cioè il paniere dove sono quotate la grande parte delle società dell’intero settore, dovrebbe restare volatile fino alla data delle elezioni. Poi: nel caso di vittoria della Clinton le prospettive sono per un miglioramento in quanto, da una parte, le sue intenzioni sono già chiare; e, dall’altra, l’impatto delle politiche sui farmaci dovrebbe riguardare soprattutto prodotti tradizionali da tempo sul mercato. Quindi non il biotech. Nell’ipotesi, invece, di Donald Trump alla Casa Bianca? Le incognite sarebbero maggiori, conclude BB Biotech. Soprattutto perchè non c’è chiarezza riguardo alle sue proposte.
Fin qui alcune considerazioni rispetto alla variabile politica: quale, però, più in generale l’andamento del Nbi? L’indice, sul lungo periodo, vanta una dinamica positiva. Nell’arco degli ultimi 10 anni il paniere (chiusura al 19 ottobre scorso) è cresciuto del 246,2%. L’S&P500 invece è salito del 56,87%. La sovraperformance del Nbi, rispetto alla più tradizionale Wall Street, è quindi nei numeri. Il trend, peraltro, si conferma anche su altri periodi di tempo. Nell’ultimo quinquennio, ad esempio, le società biotecnologiche quotate al Nasdaq hanno messo a segno un rialzo di oltre il 182%. Le cinquecento maggiori capitalizzazioni quotate negli Usa, dal canto loro, si sono «accontentate» di salire del 77,23%.
Al che potrebbe però obiettarsi: i titoli «va- lue», che non stanno sulla frontiera tecnologica, da un lato per loro natura hanno quotazioni più stabili; e, dall’altro, vantano il rendimento aggiuntivo legato al dividendo. La considerazione è corretta. Tuttavia: in primis la differenza di perfomance rimane comunque molto elevata. E poi, contabilizzando la stessa cedola, il risultato non cambia. Il total return dell’S&P 500 sui 10 e 5 anni è rispettivamente del 94,2% e 97,3%. Cioè valori di crescita sempre inferiori rispetto a quelli del Nbi.
In realtà, a livello di performance, il vero scarto si nota nell’ultimo anno. Guarda caso in coincidenza con l’avvio della campagna elettorale per la Casa Bianca. Il Nbi, negli ultimi 12 mesi, ha un saldo negativo del 15,49% mentre Wall Street, con il re-investimento della cedola, è salita del 7,79%. Vale a dire: a partire dalle prime indicazioni rispetto ai programmi per le presidenziali la situazione si è capovolta. L’S&P 500 è andato meglio rispetto ai titoli biotecnologici. Il contesto però, come indicato da BB Biotech, dovrebbe cambiare con l’ingresso del nuovo inquilino della «White House».
Tutto rose e fiori, quindi? La situazione è più complessa. Il fattore politico, indubbiamente, è una causa importante del trend descritto. Ma non l’unica. Altre variabili, non direttamente connesse al comparto, recitano il loro ruolo. Un esempio? L’operatività dei fondi non specializzati. Accade infatti che, a fronte dei bassi tassi di mercato, molti investitori generalisti, in caccia di rendimento, hanno acquisito titoli biotech. Le loro strategie, però, non sono basate sui fondamentali delle aziende né sulle tecnicalità di settore. Bensì tengono in conto altre dinamiche: dalla prospettiva di rialzo dei tassi della Fed fino alle correlazioni con il prezzo del petrolio. In un simile contesto giocoforza sorge il dubbio: al di là dell’evento-elezioni l’intero comparto può essere oggetto d’instabilità conseguente a valutazioni che nulla hanno a vedere con esso. E, magari, nel momento in cui la dinamica dei profitti migliora. L’eventualità non è da escludere. Tanto che per tentare di comprendere lo stato dell’arte può essere utile ragionare sui multipli di mercato. Tra questi: il rapporto tra il prezzo e gli utili.
Ebbene, secondo Bloomberg, il P/e del Nbi stimato sul 2016 è 41,84. Cioè: un dato inferiore a tutti quelli registrati ogni anno dal 2008 ad oggi. E, tuttavia, pur sempre superiore a quello di Wall Street. Qui infatti il P/e di Shiller sull’S&P 500 è intorno a 26,6. Un numero quest’ultimo, peraltro, già di per sé maggiore della sua media storica che si attesta a circa 14 volte. Insomma: ad una prima analisi il settore appare sopravalutato. Sennonché, affermano diversi esperti, il multiplo va utilizzato nella maniera corretta. Ha poco senso, è l’indicazione, guardare al P/e complessivo. Questo, considerando che le società non a break even nel biotech sono tante, inevitabilmente sale. Più corretto, invece, è considerare solo chi fa profitti: rispetto a questi titoli il ratio si attesta a 14,6. Cioè: un valore non elevato.
Inoltre, sottolinea BB Biotech, nell’ultimo decennio il P/e medio delle grandi aziende biotecnologiche è passato da oltre 30 a poco più di 10. Un dato che, attualmente, è inferiore a quello delle comparto Pharma sia negli Usa che in Europa. Ma non è solo una questione di multipli.
C’è chi ricorda la stessa continua attività di M&A. Secondo Dealogic, da inizio anno, il controvalore dei merger nel solo biotech ha raggiunto in America circa 103 miliardi di dollari (erano 110,6 nell’intero 2015). In Europa, poi, ci sono state operazioni straordinarie per 50,65 miliardi contro i 9,16 miliardi dello scorso esercizio. Un’attività che, ricorda sempre BB Biotech, sostiene i corsi azionari.
Fin qui alcune considerazioni sull’andamento delle biotecnologie in generale. Quale però le strategie d’investimento di BB Biotech? Il fondo chiuso quotato prosegue il suo focus, tra le altre cose, sui settori dell’oncologia e delle malattie rare. In tal senso, rispetto al primo comparto, può ricordarsi che al 30 settembre scorso le prime due posizioni per peso d’investimento nel proprio portafoglio sono Incyte (11%) e Celgene (10,8%). Vale a dire due aziende attive soprattutto nel ricercare farmaci anti-tumore. Riguardo, invece, alle «orphan drugs» può ricordarsi l’investimento su Ionis Pharmaceuticals (7,9%). Ciò detto, però, BB Biotech punta anche su altri settori. Tra questi: la neurologia. In tal senso è stata costituita una nuova posizione (0,4%) su Avexis. Quest’ultima opera nelle rare malattie genetiche neurologiche. Si tratta di frontiera dove Avexis realizza un farmaco che ha indotto preliminari, ma promettenti, miglioramenti nello sviluppo motorio dei bambini colpiti dalla terribile Sma1 (forma di atrofia muscolare).
Al di là dei settori d’investimento il risparmiatore è, tuttavia, interessato alla dinamica del fondo in Borsa. Qui, attualmente, lo sconto del titolo sul Nav è del 2-3%. Si tratta di un valore molto più limitato rispetto al passato. Il che può indurre a pensare che lo spazio per l’ulteriore crescita sia limitato. BB Biotech non condivide la considerazione. I recenti flussi sul titolo, è l’indicazione, mostrano l’apprezzamento per la gestione di portafoglio. E poi, come indica la generale sottovalutazione del settore, le potenzialità del medesimo sono ancora inespresse. Quindi, conclude il fondo quotato, la riduzione dello sconto sul Nav non implica prospettive limitate rispetto alle quotazioni. Quotazioni che, a ben vedere, nel terzo trimestre hanno recuperato anche in scia al rialzo dello stesso Nav che ha permesso l’utile di 392,1 milioni di franchi svizzeri. Sui primi nove mesi del 2016, però, la perdita netta è di 777,8 milioni.