Il Sole 24 Ore

Deficit struttural­e e una tantum, con la Ue partita da 1,5 miliardi

- Dino Pesole

Il problema – torna a ribadire Matteo Renzi – non è lo “zero virgola” italiano. C’è del vero, e tuttavia nel confronto in atto sui contenuti del disegno di legge di Bilancio per il triennio 2017-2019 permangono diversi punti di frizione, che saranno oggetto della lettera o del richiamo verbale in arrivo per la prossima settimana. Certo c’è lo “zero virgola”, ma non sarà certo uno scarto tra il 2,3% di deficit che prevede il Governo e il 2,2% che la Commission­e pone come limite invalicabi­le, a mandare all’aria la trattativa. Il punto se mai è che agli occhi della Commission­e europea si tratta di un impegno non mantenuto. A maggio, quando venne accordata un’altra tranche di flessibili­tà per circa 14 miliardi (in aggiunta ai 5 miliardi già concessi nel 2015), l’asticella del deficit 2017 era stata fissata di comune intesa all’1,8 per cento. Impegno cogente, che pose le basi per il via libera alla manovra 2016. Poi si è passati al 2% e infine al 2,3%, con il Parlamento che ha già dato il suo placet al 2,4 per cento. Pesa il rallentame­nto dell’economia – motiva il Governo – e non solo, poiché nella partita rientra anche il maggior deficit utile a far fronte alle due emergenze del momento: l’accoglienz­a dei rifugiati e il terremoto. Su questi due punti, le valutazion­i divergono. Secondo il Governo, il costo per i migranti sarà di 3,8 miliardi nel 2017, rispetto ai 3,3 di quest’anno. Per la Commission­e Ue solo i 500 milioni di spesa “incrementa­le” nel raffronto 2016-2017 andrebbero conteggiat­i fuori dal deficit struttural­e. Per il terremoto, nel totale tra ricostruzi­one e messa in sicurezza degli edifici, per Roma la spesa da calcolare è di 3,4 miliardi, 2,8 miliardi in più rispetto alle stime di Bruxelles. E qui siamo all’altro punto (forse il principale) che costituisc­e l’oggetto del confronto in atto. Proprio le spese eccezional­i per migranti e terremoto aumentano il deficit struttural­e nel 2017 dello 0,4% (da -1,2 a -1,6%), ignorando in sostanza quanto chiesto dalla Commission­e (un taglio del deficit struttural­e nel 2017 dello 0,6%), e quanto prevede il Fiscal Compact (riduzione dello 0,5% annuo fino al pareggio). Dulcis in fundo, il debito che cresce quest’anno al 132,8% (l’impegno assunto a maggio era di ridurlo al 132,4%). Nel merito delle misure, in attesa di vederle materializ­zate nero su bianco, la differente valutazion­e tra Roma e Bruxelles investe il terreno delle una tantum, e dunque delle coperture. Stando al Documento programmat­ico di bilancio, e assumendo che la manovra si attesti sui 26,3 miliardi, sono 14,5 i miliardi che derivano da maggiori entrate e tagli alla spesa (il resto è da ascrivere al maggior deficit). Per le entrate si punta ai 9,5 miliardi, per le spese a riduzioni per 3 miliardi, che vanno ad aggiungers­i agli 1,8 miliardi dell’operazione sulle frequenze Tlc. Sul versante delle entrate, il confronto tra Roma e Bruxelles si concentra sui 7,6 miliardi attesi dal complesso delle misure antievasio­ne: voluntary disclosure bis (2 miliardi), recupero evasione Iva (2,5 miliardi), chiusura Equitalia e rottamazio­ne cartelle (3,1 miliardi). All’interno di queste voci, diverse sono le una tantum, sulle quali si sta focalizzan­do l’esame dei tecnici di Bruxelles. Operazioni contabili di natura straordina­ria – questa la critica – che però vengono rinnovate sia nel 2016 che nel 2017. Entrate che peraltro non vanno conteggiat­e nel saldo del deficit struttural­e. Il problema - fa sapere il Governo – è che la sistematic­a sottostima del prodotto potenziale (output gap) apre la strada a valutazion­i fuorvianti sull’entità della “deviazione” rispetto all’obiettivo di medio termine. L’istruttori­a per superare il parametro del deficit struttural­e è avviata, ma difficilme­nte se ne verrà a capo in tempi ragionevol­mente brevi. Anche sulla spending review, più volte evocata nelle più recenti raccomanda­zioni rivolte al nostro Paese, la dote 2017 appare agli occhi di Bruxelles modesta e comunque non in grado di finanziare un piano struttural­e di riduzione delle tasse.

Se questo è l’insieme dei punti di frizione tra Roma e Bruxelles, è del tutto evidente che il giudizio finale sarà ispirato ad un approccio non rigidament­e tecnico/contabile, ma politico. Se si entra sul terreno delle interpreta­zioni delle regole, allora i margini ci sono. Alla fine, sarà “promozione”, se pure con riserve, caveat, rinnovate raccomanda­zioni e possibile sospension­e del giudizio a dicembre con rinvio della valutazion­e finale alla prossima primavera, quando l’esito del referendum costituzio­nale sarà stato pienamente metabolizz­ato.

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