Il Sole 24 Ore

Urbanizzaz­ione per lo sviluppo

La crescita delle megalopoli è un fenomeno inarrestab­ile ma va incanalato per diventare fonte di crescita Ma servono strumenti

- di Elena Comelli

Dopo Parigi, Quito. Nella capitale più alta del mondo, 193 governi hanno firmato questa settimana la Nuova Agenda Urbana, che delinea le strategie globali di urbanizzaz­ione per i prossimi vent’anni, sotto l’egida delle Nazioni Unite. Il documento, approvato nella conferenza Habitat III dopo mesi di negoziati delinea una visione ambiziosa di città compatte, sviluppate lungo assi di trasporto pubblico sostenibil­e e umanizzate da una crescita policentri­ca, che cerca d’indirizzar­e il processo d’inurbament­o lungo linee nuove, per evitare il sovraffoll­amento selvaggio delle megalopoli. Fra i punti centrali della Nuova Agenda Urbana c’è il cosiddetto diritto alla città - «Le città sono per la gente, non per il profitto» -, un principio concepito per spingere i governi locali a una pianificaz­ione che privilegi il pubblico sul privato.

Le città già oggi ospitano oltre metà dell’umanità, producono il 70% del Pil globale e sono responsabi­li del 70% delle emissioni di gas serra, ma continuano a espandersi: entro fine 2016, altri 70 milioni di persone si saranno spostati nelle aree urbane. Entro il 2030, ci saranno 41 megalopoli di 10 milioni di abitanti o più, contro le attuali 28. Entro il 2050, l’homo civicus avrà superato i 6 miliardi di persone, due terzi dell’umanità, e genererà oltre 2 miliardi di tonnellate di rifiuti l’anno.

D’altra parte, le città sono anche grandi catalizzat­ori di soluzioni per la sostenibil­ità. Entro il 2017, per esempio, 2,5 milioni di pendolari della metropolit­ana di Santiago del Ci- le viaggerann­o ogni giorno su treni alimentati da energia solare ed eolica. Singapore ha aperto la strada per una gestione efficace del traffico fin dal 1975, grazie alla prima congestion charge. Città del Capo vanta gli obiettivi di risparmio idrico più ambiziosi del continente. San Francisco e Montreal hanno di gran lunga superato gli standard dei loro governi federali per le politiche in materia di diritti umani. Il ruolo pionierist­ico delle città nell’affrontare le grandi sfide è stato riconosciu­to nell’Accordo di Parigi sui cambiament­i climatici e nei Millennium Goals dell’Onu.

La Nuova Agenda Urbana ha lo scopo di sfruttare questo dinamismo urbano come motore dello sviluppo sostenibil­e. Ma lo stato d’animo festoso che ha salutato l’esito dei negoziati a Quito non può celare i problemi di fondo. Come uno tsunami, le migrazioni spazzano rapidament­e tutto il globo. I confini delle aree urbane di espandono, le città satellite crescono, la dispersion­e delle aree edificate aumenta. Quest’ultimo è lo sviluppo più dannoso per l’ambiente. La maggior parte degli insediamen­ti urbani, infatti, sono partiti dai terreni agricoli migliori lungo un corso d’acqua dolce, ricco di vegetazion­e naturale. Edifici, coltivazio­ni, pascoli e boschi spesso si sono sviluppati in anelli concentric­i. L’espansione urbana quindi invade e inquina a un ritmo crescente risorse naturali preziose. Questo modello si applica per le città di ogni taglia, dalle più piccole alle più grandi (oltre 10 milioni di persone). Intorno ai bordi delle piccole e medie città degli Stati Uniti, da Salt Lake City a Denver, gli ecosistemi naturali si sono ridotti a zone sempre più frammentat­e e degradate. Allo stesso modo, Seul ha trasformat­o le zone verdi circostant­i in un anello di parchi delimitato da autostrade. I cambiament­i climatici peggiorano la situazione, aumentando la gravità delle ondate di calore e degradando l a qualità dell’aria. L’espansione delle città costiere - come Guangzhou, Mumbai, New Orleans, Osaka o Vancouver - mette sempre più persone alla mercé delle alluvioni. E i poveri urbani sono tra i più vulnerabil­i.

Proprio dai rischi sempre più evidenti dell’urbanizzaz­ione selvaggia è cominciato il processo di Habitat, lanciato dalle Nazioni Unite nel 1976 per migliorare lo sviluppo sostenibil­e delle città e la qualità della vita dei loro abitanti. La prima conferenza, tenutasi a Vancouver, ha incoraggia­to i governi ad adottare un approccio territoria­le per le strategie nazionali di sviluppo e a coinvolger­e le organizzaz­ioni della società civile che si concentran­o sui temi urbani. Da qui l’istituzion­e della prima agenzia delle Nazioni Unite basata in Africa: il Centro delle Nazioni Unite per gli insediamen­ti umani - gestito da Nairobi - che ha costituito la base per il programma Onu sugli insediamen­ti umani, Un Habitat, oggi guidato dall’ex sindaco di Barcellona, Joan Clos. La seconda conferenza, a Istanbul nel 1996, ha prodotto la prima agenda urbana, da cui traspare la convinzion­e di poter ancora frenare il rapido processo di inurbament­o. Oggi, dopo la terza conferenza, è ormai chiaro che l’inurbament­o non può e non deve essere fermato, ma va incanalato con una migliore pianificaz­ione.

La Nuova Agenda Urbana, però, ci dice molto sul cosa e poco o niente sul come. Diversamen­te dall’Accordo sul clima di Parigi, non si danno indicazion­i pratiche sull’applicazio­ne dei principi espressi, sul finanziame­nto dei progetti e sul monitoragg­io dei progressi, né tantomeno su chi li debba misurare e sulle eventuali sanzioni per chi manca gli obiettivi. È chiaro a tutti, invece, che c’è un gran bisogno d’informazio­ne e di monitoragg­io. Mancano adeguati sistemi per fornire dati scientific­i sui risultati chiave e molte nazioni hanno bisogno di pianificat­ori urbani in grado di sostenere questi sforzi: secondo il World Cities Report 2016, nel Regno Unito ci sono 38 pianificat­ori per ogni 100mila abitanti, a fronte di 1,44 in Nigeria e solo 0,23 in India, due dei Paesi di più rapida urbanizzaz­ione. Un esercito troppo sparuto per affrontare adeguatame­nte le grandi sfide globali.

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