Scienze della vita: al di là della pillola
Anche i petrolieri scelgono di investire nelle terapie avanza te e nel biomedicale Così il settore si conferma un motore di crescita
Entrati nella seconda metà di questo decennio, se a investire milioni di dollari nelle terapie avanzate e nella biomedicina sono i petrolieri texani, significa che il settore è indubbiamente uno dei principali motori della crescita economica e dello sviluppo.
Houston oltre a trasformarsi in pochi anni in un cluster scientifico d’avanguardia sta facendo concorrenza all'area di Boston - dove ormai non c'è più spazio per costruire e i costi sono alle stelle - candidandosi come polo alternativo. A raccontarci come sta cambiando il Sud degli Stati Uniti è Ennio Tasciotti, direttore del Centro di Medicina biomimetica allo Houston Methodist Research Institute, da 10 anni in Texas. «Qui lo spazio non manca, anzi…, e il costo della vita è nettamente inferiore al Massachussetes (in Texas si pagano solo le tasse federali, ndr). Ma soprattutto la città ha una vasta rete di infrastrutture universitarie, ospedaliere e di ricerca (sono oltre 50 i centri di ricerca biomedici), una massa critica di 110mila addetti ai lavori con una forte vocazione per la ricerca translazionale che favorisce, tr l’altro, la nascita di molte startup. Che lo stato del Texas supporta e finanzia, a patto che la ricerca privata si associ in minima parte (in quota del 20%) con quella pubblica».
Non solo, esiste anche una stretta commistione tra pozzi di petrolio e medicina. «Tante tecnologie che sono state sviluppate in campo medico possono avere una seconda vita in quello petrolifero. E viceversa - precisa Tasciotti - . In fondo, il cuore è una pompa e il sistema circolatorio è una diramazione di tubi, quindi i medici cardiovascolari e gli ingegneri petroliferi devono risolvere gli stessi problemi: disostruzione e ripara- zione (di tubi e arterie), monitoraggio del flusso». E si ritrovano ogni anno sotto lo stesso tetto a scambiarsi idee e tecnologie. «I nanotubi studiati per il rilascio di farmaci hanno un rivestimento che li rende più resistenti all’attacco dei batteri, una caratteristica utile anche in campo petrolifero, per evitare che le tubazioni si otturino in seguito alla crescita batterica. Allo stesso modo, gli snodi studiati per estrarre il petrolio hanno ispirato la chirurgia endovascolare. Due mondi apparentemente così lontani costituiscono oggi un ecosistema dell’innovazione per la città di Houston.
Ma anche più vicino ai nostri confini, il film non è molto diverso. Germania, Belgio, Francia hanno già creato ecosistemi per lo sviluppo delle Life sciences e la Gran Bretagna, che con il progetto 100mila genomi lanciato nel 2012 for- nisce al paese una forte leva competitiva nella sequenza del Dna, ha anche aperto pochi mesi fa a Londra il più grande centro di ricerca biomedica d’Europa, il Francis Crick Institute dove come dice il direttore Paul Nurse «faremo scienza con la S maiuscola, una sorta di faro internazionale per attarrre le eccellenze di tutto il mondo», anche se in tempo di brexit le difficoltà per far rimanere la ricerca inglese gioiello della corona scientifica e industriale è certamente più difficile.
Veniamo a noi. L'industria farmaceutica made in Italy ha dimostrato una capacità i nnovativa come dimostrano i successi ottenuti nelle terapie avanzate: 3 su 6 approvate in Europa sono nate dalla ricerca tricolore. «Nel 2015 gli investimenti in Italia in R&S sono stati 1,4 miliardi (7% del totale) e gli addetti han- no raggiunto quota 6.100. Imprese hitech, già 4.0 che investono, producono e collaborano con le tante eccellenze scientifiche e accademiche.
Capacità che unite all'avvio di Human Technopole e all'auspicato trasferimento dell'Ema (Agenzia del farmaco europea) a Milano potranno fare del nostro Paese un hub internazionale dell' » ha dichiarato Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria. Un’altra iniziativa per fare network tra ricercatori, imprese, terzo settore, decisori politici, investitori, fondazioni è il progetto lanciato dall’Università di Torino #hackUniTO for ageing (www.hu4a.it), a cui hanno già aderito a oggi 29 università, 784 ricercatori con 276 progetti. «L’iniziativa rende protagonista la ricerca di base e quella applicata e favorisce la collaborazione con imprese e istituzioni dei territori nell’ottica del knowledge interchange» spiega Germano Paini, responsabile del progetto.
In effetti, uno dei fattori che fanno da traino alle scienze della vita è l’invecchiamento della popolazione e la gestione delle malattie croniche, ma anche le scoperte in campo genetico e il progresso delle tecnologie applicate alla salute. I nuovi modelli di business delle big pharma, che si stanno adeguando a un mercato sempre più biotech e spostato verso la medicina personalizzata devono però confrontarsi con la tenuta dei sistemi sanitari, che spingono verso il rimborso dei generici e dei biosimilari. E poi ci sono le difficoltà di entrare in paesi demograficamente interessanti come la Cina e l’India, ma con politiche protezionistiche ben strutturate. In questo scenario i paesi che offrono ecosistemi del- l’innovazione, facilitazioni fiscali, idee che possono trasformarsi in valore, un’agenzia unica specializzata che faccia da interlocutore con chi vuole avviare paternariati o investire avranno chances maggiori di attrarre multinazionali e venture capitalist. La concorrenza è forte e l’Europa, nonostante i bisogni di salute di una popolazione che invecchia, secondo gli analisti vedrà una crescita più lenta della spesa sanitaria da qui al 2019: solo l’1,4% all’anno. Se vuole quindi giocare un ruolo il Vecchio Continente deve non solo aumentare i finanzimenti pubblici in ricerca e sviluppo, ma investire anche nella educazione all’imprenditorialità, senza condannare il fallimento che - come insegna la Silicon valley - fa parte del processo innovativo.