S&P: la domanda di credito resta debole
Nonostante i tassi bassi non cresce lo stock di debito corporate in Italia
pSe la discesa dei tassi di interesse e il miglioramento delle condizioni di offerta del credito hanno allontanato i rischi per le aziende di credit crunch, la trasmissione degli effetti positivi sull’economia della politica monetaria accomodante della Bce non è ancora evidente. Un segnale in questo senso arriva dallo stock del debito corporate che non sta crescendo, a dimostrazione di come la domanda di credito resti debole. «Nei primi sei mesi del 2016 se confrontiamo le emissioni nette di bond corporate e i prestiti netti bancari, la crescita totale è nulla nonostante il costo del funding sia ai minimi storici – spiega Renato Panichi, senior di- rector corporate rating di Standard and Poor’s, intervenuto al Congresso nazionale dell’Andaf, l'associazione nazionale direttori amministrativi e controllo -. Nel primo semestre, in Italia le emissioni di bond corporate si sono attestate a circa 10 miliardi di euro contro 25 miliardi di euro per l’intero 2015. Tuttavia, pensiamo ci sarà un recupero nel secondo semestre». Sempre più rare sul mercato le emissioni di bond di medie imprese che in questa fase preferiscono attingere fondi dal classico prestito bancario, dopo che negli scorsi anni c'era stata una corsa al funding attraverso questo strumento con un picco di 5 miliardi toccato del 2013. «C’è ancora molta reticenza da parte delle aziende ad aprirsi al capitale di rischio e di debito, e questo non aiuta il processo di consolidamento e di finanziamento di progetti di investimento», ha aggiunto Panichi.
Se le aziende non chiedono prestiti, gli investimenti non ripartono. Altri paesi europei stanno facendo meglio come Spagna e Francia: il confronto vede l’Italia al 17% di spesa per investimenti sul Pil contro il 20% in area Ue. «Ci aspettiamo per il 2016-17 una ulteriore contrazione del capitale fisso accumulato, che tra l'altro comincia ad essere obsoleto. Per fermare questo processo è indispensabile tornare ad investire. L'intervento del governo con i provvedimenti di Industria 4.0 potrebbe portare, secondo le stime di Palazzo Chigi, a nuovi investimenti privati per 11 miliardi di euro nel 2017. Se così fosse sarebbe una importante boccata di ossigeno, ma aldilà della volontà del governo ci deve essere l’interesse delle aziende ad investire».
A complicare la vita delle aziende sono i nuovi principi di redazione dei bilanci alla luce dell'imminente entrata in vigore, entro la fine anno, della Direttiva europea Barnier sulle informazioni di carattere non-finanziario e il reporting integrato. Un settore in piena evoluzione, come dimostra la survey effettuata da PwC e dall'università Bocconi con un campione di analisti di società italiane dalla quale emerge che molte delle informazioni raccolte dal bilancio non sono utili al fine delle analisi. Che cosa serve oggi al mercato? Secondo Giovanni An- drea Toselli, partner di PwC, «se la qualità del reporting è indicativa della qualità del management, il lavoro da fare per migliorare la reportistica è ancora tanto». Un esempio è rapporto di sostenibilità a cui le aziende non possono più prescindere dopo la ratifica da parte della Ue di Cop21 firmato da Usa e Cina sulla riduzione delle emissioni atmosferiche: «Il paradigma sta cambiando – ha detto Franco Amerlio, partner di Deloitte -. Sostenibilità vuol dire riduzione dei rischi e creazione di valore nel lungo periodo». A creare ulteriori incertezze nella organizzazione delle aziende è la digital economy con la comparsa prepotente dei social media che spingono a un rapporto diretto con il consumatore: «Il ruolo del Cfo è centrale nella gestione di questi cambiamenti – ha osservato Riccardo Bovetti partner di EY –. Credo che sia il momento di ripensare al ruolo del Cfo dentro l'azienda».