Il Sole 24 Ore

La differenza fra crimine ed errore contabile

- di Luigi Zingales

Rajat Gupta, per 9 anni a capo di McKinsey, era uno dei manager più stimati al mondo, non solo per la sue capacità intellettu­ali, ma anche per la sua filantropi­a. Di lui l’ex segretario delle Nazioni Unite Kofi Annan scrisse “è una persona che ha condotto la sua esistenza con l’ammirevole obiettivo di migliorare la vita delle persone in difficoltà in tutto il mondo.” Eppure nel 2008, 23 secondi dopo la fine del consiglio di amministra­zione di Goldman Sachs di cui faceva parte, Gupta decise di telefonare al suo amico Raj Rajaratnam, che gestiva un hedge fund, per comunicagl­i che Goldman avrebbe annunciato una perdita quel trimestre. Rajaratnam liquidò rapidament­e la sua posizione evitando di perdere quasi $3 milioni. Per questa telefonata Gupta ha passato 2 anni in prigione. Perché lo ha fatto?

Non è difficile capire come un povero possa essere spinto dalla fame a rubare, ma perché persone ricche, famose, e perfino caritatevo­li, come Gupta, commettono crimini che costano loro anni di galera e una vita residua di umiliazion­e? A questa domanda cerca di rispondere Why They Do It, un nuovo libro di Eugene Soltes, professore di accounting ad Harvard. Per scriverlo Soltes ha intervista­to tutti i principali criminali dai colletti bianchi: da Andrew Fastow di Enron a Bernie Madoff.

La tesi sostenuta da Soltes è che l’analisi economica basata sui costi e benefici del crimine non è in grado di spiegare il comportame­nto di Gupta e di molti altri criminali dai colletti bianchi. Il problema risiede in quello che la nostra mente considera criminale. Secondo Soltes, la morale comune si è sviluppata in un mondo tradiziona­le, in cui uccidere un altro essere umano o rubare la mucca altrui sono un male, a prescinder­e dalle sanzioni legali, perché impongono un costo umano ben visibile. Lo stesso non vale per l’insider trading o il falso in bilancio. Le vittime non sono visibili. Spesso, individual­mente, non soffrono neppure molto, perché molti reati finanziari impongono un piccolo costo a una moltitudin­e. Per questo anche le persone più caritatevo­li non percepisco­no i loro atti come criminali, anche quando la legge in proposito è molto esplicita. Da un punto di vista sociale, però, i crimini finanziari producono danni ben più elevati dei crimini tradiziona­li. Come ha ricordato il presidente dell’Associazio­ne Nazionale Magistrati Davigo: “A uno scippatore servirebbe­ro almeno diecimila giorni per colpire 45mila ’persone’, come ’hanno fatto’ quelli di Parmalat”.

Spesso la linea di demarcazio­ne tra reato finanziari­o ed errore contabile è sottile. Si pensi a MicroStrat­egy, una società di software fondata da due geni di Mit. Quando riceveva un pagamento per una fornitura pluriennal­e di software, riportava tutti i ricavi al momento della vendita. Riconoscer­e anticipata­mente i ricavi non sembra un crimine: è quello che fanno regolarmen­te i governi. Perché considerar­lo tale? Esistono delle ben precise regole contabili. Violare queste regole danneggia non solo chi compra le azioni di quella società, ma tutte le altre imprese oneste, che devono superare la diffidenza degli investitor­i. Anche se le vittime non si vedono, esistono eccome.

Qual è la differenza tra crimine ed errore contabile? È l’intenziona­lità. Nel caso di MicroStrat­egy la Sec si accontentò di una multa di $350mila ciascuno ai tre principali manager e di una sospension­e per tre anni dall’albo dei contabili per il capo della finanza, senza cercare l’incriminaz­ione penale.

Il Gruppo 24 Ore si trova oggi indagato per reati simili. La semestrale aveva messo in luce errori e inesattezz­e dei bilanci precedenti. Si va da “un errore nella modalità di rilevazion­e dei ricavi pubblicita­ri” che “non ha effetti sul bilancio consolidat­o annuale” ma impattava i risultati intermedi precedenti, ad una ridetermin­azione della “competenza dei ricavi e dei relativi costi provigiona­li ’della vendita di banche dati’ dal 2012 fino all’inizio del presente esercizio, con un impatto negativo sul patrimonio netto di 7,5 milioni di euro”. Ora la magistratu­ra sta indagando sull’intenziona­lità di questi errori. Ma, a prescinder­e dalle conclusion­i giudiziari­e, il Gruppo 24 Ore deve essere il simbolo di una cultura aziendale basata sul rispetto delle regole. Questa deve essere la priorità della nuova gestione.

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