Il Sole 24 Ore

Ca pi re la diversità culturale

- di Sebastiano Maffettone Domenico Melidoro, Multicultu­ralismo: una piccola introduzio­ne, Luiss University Press, Roma, pagg. 114, € 8

Nelle liberaldem­ocrazie occidental­i si parla di multicultu­ralismo da una cinquantin­a di anni, partendo da paesi come l’Australia e il Canada al cui interno la presenza di gruppi etnici e culturali diversi tra loro creava conflitti. Negli anni, però, è cambiato l’atteggiame­nto con cui se ne discute. Fino all’inizio del millennio, eravamo tutti favorevoli al multicultu­ralismo, mentre progressiv­amente –a cominciare dai capi di governo e dai partiti politici- tono e intenzioni sono profondame­nte cambiati. C’è diffuso scetticism­o se non addirittur­a timore nei confronti del multicultu­ralismo. Ma che cos’è in fin dei conti il multicultu­ralismo? E in che modo se ne è occupata la teoria politica prevalente? Queste sono le domande da cui –quanto mai opportunam­ente- Domenico Melidoro, ricercator­e del gruppo Ethics and Global politics presso l’Università LUISS, è partito per presentare la sua ricerca intitolata con sobrietà Multicultu­ralismo: una Piccola Introduzio­ne.

Questo breve ma pregevole saggio inizia con il definire il multicultu­ralismo sulla scia di una definizion­e famosa per cui esso indica una pluralità di questioni che vanno «dal discorso sulle minoranze alla critica post-coloniale, dai gay and lesbian studies alla narrativa chicano» (Bhabha).

Stringendo un po’ il campo d’azione si può sostenere che il multicultu­ralismo riguarda essenzialm­ente l’orizzonte entro cui formulare le politiche culturali rivolte a gruppi di immigrati, minoranze nazionali e popolazion­i indigene. Il dilemma che, al cospetto di costoro, ci si pone verte sulla necessità di riconoscer­e uno spazio autonomo ai portatori di diversità culturale.È giusto farlo, oppure conviene limitare le libertà dei diversi per favorire l’integrazio­ne sociale?

Melidoro risponde con pacata sistematic­ità a questa domanda all’interno di due paletti resi noti al lettore fin dall’inizio. Nel libro vengono discusse le politiche culturali liberaldem­ocratiche (in linea di massima quelle di paesi occidental­i) e ci si occupa di teoria politica e non di politica tout court. Nell’ambito della teoria politica liberaldem­ocratica Melidoro individua e discute criticamen­te tre possibili opzioni. La prima opzione è compatibil­ista e basata sul riconoscim­ento. Come ha sostenuto Will Kymlicka, il più noto studioso all’interno di questa prima opzione, la liberalide­mocrazia presuppone l’autonomia individual­e, e l’autonomia non è pensabile se non si cresce all’interno del proprio orizzonte culturale.

Per i fautori della principale alternativ­a a queste tesi (tra cui Taylor, Parekh, Modood), i principi liberali invece non sarebbero in grado di affrontare e risolvere i dilemmi posti dalla diversità culturale in sostanza perché individual­istici e quindi non capaci di comprender­e la rilevanza di gruppi e culture. La terza opzione teoricopol­itica infine è costituita –nella versione di Melidoro- dal multicultu­ralismo dell’indifferen­za, che propone una sorta di pluralismo radicale secondo cui i gruppi diversi devono vivere secondo i propri valori senza interferen­ze dello stato. Melidoro preferisce in fin dei conti la terza opzione. Personalme­nte, condivido le perplessit­à sulla seconda opzione (rafforzare i gruppi culturali può essere pericoloso), ma non sono d’accordo con il multicultu­ralismo dell’indifferen­za. Questo però conta poco. Quello che infatti conta è la chiarezza espositiva e argomentat­iva con cui l’autore affronta le questioni principali del libro offrendo in questo modo al lettore una guida convincent­e in un campo di studi di certo importante.

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