Tutti i colori del Nero
La pittura drammatica dell’artista affonda le sue radici nella cultura degli afro-americani e del loro disagio
Quella di Jean- Michel Basquiat è una pittura drammatica, alimentata dall’orgoglio del proprio essere nero, dall’affermazione e dalla difesa dei valori etici e morali che si possono riscontrare nella cultura degli afro- americani. L’energia e la determinazione con cui egli ha affrontato questi temi sia sul piano dei contenuti sia su quello del linguaggio fanno sì che la sua sia un’arte epica, che ha aperto la strada agli artisti neri che sono venuti dopo di lui.
Nei dipinti di Basquiat ritroviamo personaggi, oggetti e situazioni a noi familiari che tuttavia non appartengono al mondo dei bianchi.
Basquiat non traccia però una linea di demarcazione netta tra il mondo dei bianchi e quello dei neri: mostrandoci personaggi, oggetti e situazioni a noi familiari dimostra quanto forte sia la contaminazione tra questi due mondi, quanta negritudine c’è in noi. La sua non è un arte delle origini dunque, ma un’arte del presente che trae ispirazione dall’arte delle origini del popolo nero: la grande madre del suo immaginario è l’Africa, naturalmente.
Nella primavera del 1973, quando Basquiat aveva solo tredici anni, un’anziana signora tedesca realizzò un reportage etno-fotografico sull’Africa dei Nuba, una popolazione dell’alto Sudan dove aveva vissuto per anni, pubblicato in un volume intitolato Gente di Kau. L’autrice in questione era Leni Riefenstahl, regista, fotografa e scrittrice legata al Terzo Reich, di cui celebrò i fasti con i suoi docufilm. Susan Sontag, in un famoso articolo del 1975 intitolato Fascinating Fascism sostenne che Leni Riefen
stahl in Gente di Kau aveva inscenato attra-
verso immagini molto affascinanti gli ideali nazisti di perfezione fisica, militarismo, marzialità, organizzazione basata sulla sottomissione, mitologia del coraggio, della lotta e della morte come destino: stabilendo di fatto una continuità ideologica con i suoi lavori per il Terzo Reich, strumentalizzando un’antica cultura e adombrandola pesantemente di puro folklore o, peggio, asservendola a un’estetica nazi- fascista.
Il lavoro di Basquiat si è opposto proprio a questo modo di strumentalizzazione della cultura nera, che, pur con profondissime e ovvie differenze, aveva viziato la ricerca formale del primitivismo negli artisti delle avanguardie europee del XX secolo.
Il primitivismo di Basquiat è frutto di una presa di coscienza politica, non solo un si-
stema di valori formali, estetici, feticisti e etnograici, come era avvenuto con le avanguardie europee.
Basquiat tenta una riappropriazione, in seguito a quella operata da quelle avanguardie, di un’espressività tribale, cioè di un’arte prodotta da africani per gli africani nel quadro di un sistema culturale ricco di precisi valori formali. La sua è dunque un’arte strettamente integrata e connessa con altre espressioni della società contemporanea, quali la musica, la danza, il teatro, ma anche l’agonismo sportivo e politico.
Dicendo di possedere una memoria culturale e che non doveva per questo cercarla, una memoria che esiste di per sé e che « si trova laggiù, in Africa » , Basquiat ha denunciato l’insuficienza storica con cui artisti come Gauguin, Matisse e Picasso hanno trattato ed esaltato il primitivo e l’approccio romantico che l’arte moderna europea ebbe con l’arte primitiva, guardando a essa per sperimentare nuovi linguaggi e ignorandone i valori: valori che si manifestano con forme strettamente connesse con le culture e le società di provenienza.
Nell’interpretazione dell’arte “primitiva” da parte dei moderni prevale l’introduzione, anche inconscia, di troppi postulati propri dei criteri estetici della civiltà europea. Tra i messaggi che ci giungono in tal senso da Basquiat c’è quello che le avanguardie storiche non hanno colto la genuina forza espressiva dell’arte nera, perché questa può essere prodotta solo dalle genti che l’hanno generata, siano esse africane o americane, primitive o contemporanee.
Basquiat ha impresso così sul substrato genetico del tribalismo la sua memoria personale e quella collettiva della sua generazione. Il tribalismo – inteso come «arte della tribù» – è inoltre il sintomo dell’epoca e dell’ambiente in cui Basquiat lavora: gli anni Ottanta sono infatti l’ultimo periodo della storia dell’arte in cui gli artisti hanno lavorato in un’ottica di gruppo, di condivisione, con un vero e proprio senso di «appartenenza alla tribù» che faceva sì che si sviluppassero un’identità collettiva e un comune linguaggio estetico trasversale. Per Basquiat l’arte ha innanzi tutto un carattere genealogico e una discendenza mitica.