Il Sole 24 Ore

Jean-Michel sulla strada dei guai

- di Jeffrey Deitch

City as School era un liceo pubblico alternativ­o di New York rivolto a studenti di talento (come Jean-Michel Basquiat) che avevano difficoltà a integrarsi negli istituti convenzion­ali. Lo si sarebbe anche potuto definire, come fece Al Diaz, compagno di classe di Jean-Michel, come una «scuola per coglioni». City as School usava la città come aula, organizzan­do per i suoi ragazzi stage di lavoro e studio. Jean-Michel vi si trovò benissimo, nonostante il suo «talento per ficcarsi nei guai». Nel 1977, alla cerimonia di diploma della classe dell’amico Al Diaz, Jean-Michel, per sfida, riempì di crema da barba una scatola, salì di corsa sul palco e la rovesciò sulla testa del preside. Gli mancava un anno per diplomarsi, ma non tornò più.

Smise di frequentar­e City as School, ma la città di New York continuò a essere la sua scuola. Anche se non ebbe una fissa dimora, si sentiva totalmente a casa propria nella città. Non aveva bisogno di frequentar­e la scuola d’arte; non faceva altro che entrare tranquilla­mente nella School of Visual Arts e servirsi del materiale che gli occorreva. La gente pensava che fosse uno studente pagante. Fu lì che conobbe Keith Haring e Kenny Scharf, che erano effettivam­ente iscritti. Né aveva bisogno di studiare a scuola l’opera di Andy Warhol e William Burroughs se poteva incontrarl­i personalme­nte e collaborar­e con loro, come fece da quando ebbe poco più di vent’anni. Jean-Michel diventò presto non solo un habitué del Mudd Club e un frequente ospite del TV Party di Glenn O’Brien, ma anche una presenza attiva che contribuì a determinar­e l’influenza di tali istituzion­i del downtown.

Fondamenta­le fu, nell’estate del 1980, il «Times Square Show» in cui fece la sua prima apparizion­e pubblica come artista di nome Jean-Michel Basquiat, dopo aver dichiarato che SAMO (il suo pseudonimo) era morto. Dipinse le pareti della Fashion Room, una delle installazi­oni più dinamiche della mostra. La mia recensione al suo lavoro, descritto in Art in America come «una combinazio­ne da urlo di de Kooning e scarabocch­i da metropolit­ana in vernice spray», fu il primo segno di attenzione che ricevette dalla stampa. Aveva solo diciannove anni ed era già uno dei più grandi artisti della generazion­e emergente.

L’ideologia della città multicultu­rale formò l’esperienza e la visione artistica di Jean-Michel. La comunità afro-caraibica di Brooklyn, in cui crebbe in quanto figlio di madre portorican­a e padre haitiano, stava diventando uno dei settori più vivaci di New York. Un elemento essenziale dell’opera di Jean-Michel è la sua composizio­ne multilingu­istica. L’iconografi­a e l’energia delle strade di Brooklyn e del Lower East Side permeano i primi lavori di Jean-Michel. La griglia che i bambini tracciano con i gessetti sul marciapied­e per giocare a “cam- pana” ha ispirato la struttura di alcuni dei suoi primi dipinti più grandi. Flats Fixed, Peso Neto,

All-Beef e altri cartelli della cultura commercial­e dei quartieri operai di New York sono elementi fondamenta­li del suo repertorio iconografi­co. Le sue opere sono animate da ambulanze che ne attraversa­no sfrecciand­o la superficie e da aeroplani che le sorvolano. Non mancano immagini di incidenti d’auto, forse derivate dal traumatico ricordo infantile di quando era stato investito da un’auto. C’è un rapporto diretto tra i suoni e i ritmi della strada e la ripetizion­e di lettere e parole allitteran­ti. L’applicazio­ne astratta di parole e lettere, inoltre, rispecchia una raffinata assimilazi­one dell’astrazione modernista del linguaggio che risale a Gertrude Stein.

Ben presto la sua opera va oltre l’evocazione della strada, arrivando a incorporar­e un discorso complesso sull’esperienza dei neri e sulle loro conquiste culturali. Irony of Negro Policeman, un possente dipinto del 1981, è un esempio precoce del suo messaggio politico. Molti dei suoi lavori ritraggono musicisti jazz neri, pugili neri ed eroi rivoluzion­ari come Toussaint Louverture. Oltre a sfruttare l’innovazion­e modernista del collage, che risale a Picasso e a Braque, Jean-Michel ha raccolto la tradizione africana e afroameric­ana dell’assemblagg­io. Collage modernista, tecnica del cut up, strutture tratte dall’assemblagg­io africano e l’arte di mixare i piatti del primo hip hop si combinano nella caratteris­tica logica formale di Jean-Michel. Le immagini si fondono fluidament­e come segmenti di melodia in una complessa composizio­ne jazz.

Jean-Michel morì tragicamen­te a soli ventisette anni, ma la sua capacità di proiettare la sua potente personalit­à e la sua acuta intelligen­za nella sua opera la rende ancora molto attuale.

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1982, collezione
privata
ritratti
Jean-Michel Basquiat, «John Lurie», 1982, collezione privata ritratti

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