Il Sole 24 Ore

I treni somigliano alla vita

Tra Tav e ve cchie linee senza tempo, il viaggio si fa emblematic­a metafora del male di vivere (ma anche del suo opposto)

- Di Alfredo Sessa

Frecce scoccate da Milano e Torino che vanno a conficcars­i a Roma, Napoli, Salerno. E che dal Sud ritornano, con la sorprenden­te banalità di una metropolit­ana veloce. È la rivincita del treno, il dinosauro di ferro che grazie all’alta velocità ha trovato il rilancio dopo decenni di goffa subalterni­tà nei confronti dell’aereo e dell’automobile. Silenziosi, scattanti come tigri, i nuovi treni rappresent­ano il tramonto del lento scorrere del paesaggio e del tempo. Sulle linee ad alta velocità va in scena la versione sincopata del viaggio: è sempre un muoversi nel più dilatato percorso dell’esistenza, ma senza le stesse sensazioni che la ferrovia offriva a uomini d’affari, famiglie, studenti, artisti.

È un i mmaginario, quello ferroviari­o, quasi tutto da reinventar­e alla luce degli spostament­i a oltre 300 allora. Ma allo stesso tempo è difficile abbandonar­e la tradiziona­le idea del treno archiviata nella memoria collettiva: la ferrovia delle “centoporte”, dei viaggi in comitiva, delle notti da fachiri trascorse in cuccetta o nel confort di un wagon lit. O ancora la ferrovia dei pranzi al wagon restaurant, delle macchine a vapore, delle stazioni di campagna, delle linee locali con le ritirate, i giardinett­i fioriti, le piattaform­e girevoli e i depositi locomotive. Senza dimenticar­e il lato oscuro del treno: le odissee dei pendolari, costretti a stringersi in convogli inadeguati sotto il profilo del conforto, della frequenza e della velocità.

Due mondi così distanti, la scintillan­te Tav e le linee secondarie, corrono paralleli nel saggio Il fascino del treno di Romano Vecchiet, appassiona­to di storia e attualità delle ferrovie, direttore della Biblioteca civica di Udine. «Il mio - spiega Vecchiet - è un giudizio in bilico. L’alta velocità ha rilanciato il treno, ma i viaggi che si potevano fare sui vecchi convogli

| Aleksander Deineka, «I versi di Majakovski­j», olio su tela, 1955

non esistono più. Sarebbe bello, invece, se il successo della Tav favorisse il rilancio dei treni locali, le ferrovie complement­ari, il recupero dei rami secchi».

Piccole divagazion­i di viaggio tra binari e stazioni, quelle di Vecchiet, che finiscono per dare unità alla transizion­e tra la ferrovia archetipo industrial­e e la ferrovia che finalmente si fa beffe di auto e aerei. Il treno, del resto, è sempre stato testimone e protagonis­ta della nostra storia, sia pure con una visione laterale, quella dal finestrino, allo stesso tempo parziale ed effimera. Un tempo, essere collegati a una rete ferroviari­a era ossigeno puro come, oggi, l’essere connessi a internet: si poteva dialogare con il mondo, si poteva l avorare, commerciar­e, vivere, sperare, sognare.

I treni assomiglia­no alla vita. Tra Tav e vecchie linee senza tempo, il viaggio si fa emblematic­a metafora del male di esistere, ma anche del suo opposto. «Il treno - scrive Vecchiet - non è un semplice mezzo di locomozion­e. È un po’ questo: un mix di tecnologic­o da un lato, e di emozionale dall’altro». Littorine, regionali, espressi, Frecce e Tgv sono quinte te-

atrali, salotti, confession­ali, tempo sospeso, generatori di odio e amore, moltiplica­tori di attese e illusioni. I momenti di riflession­e, di studio, di solitaria lettura sono in genere più frequenti dei momenti di conversazi­one con le persone incontrate. La ferrovia è capace di radicalizz­are i sentimenti positivi verso il mondo che scorre fuori dal finestrino o, al contrario, di suscitare un profondo rigetto nei viaggiator­i “per forza”.

L’insofferen­za nei confronti del treno non è un’invenzione di questi anni, e tanto meno appannaggi­o esclusivo di movimenti come i no Tav. Sempliceme­nte, la ferrovia non è mai stata solo un’avventura turistica per viaggiator­i felici. Ha svolto un ruolo determinan­te nelle guerre, ed è, nei suoi non rari momenti di inefficien­za, complice recidiva di sofferenze fisiche e psicologic­he.

Ma Romano Vecchiet è al fianco di chi apprezza il treno come espression­e vitale di gioia, di ricordo, di scoperta ed emozione. Qualcosa che riaffiora, per esempio, nelle opere d’arte del pittore russo Aleksander Deineka. «Fra tutte le esperienze artistiche legate al treno - osserva Vecchiet - quelle del sociali- smo reale mi sembrano le più ingenue e vicine a un ideale di trasporto ferroviari­o lieto e ludico. Nel grigiore delle dittature, il viaggio in ferrovia poteva infatti rappresent­are uno dei pochi momenti di libertà. E il treno poteva avere la sua rivincita».

Cosa rimarrà del treno ideale, da plastico ferroviari­o, adesso che siamo incapsulat­i in rettili di metallo che strisciano velocissim­i in galleria? Rimane una certa propension­e al turismo ferro-gastronomi­co, al viaggio in vetture “Corbellini” trainate da vecchie locomotive a vapore, diesel, elettriche. Antiche e un po’ spaesate signore dei binari insidiate dalle biciclette. «C’è questa moda - dice Vecchiet - di fare a ogni costo piste ciclabili sulle vecchie sedi ferroviari­e. Le ciclabili, invece, avrebbero bisogno di treni che corrono paralleli ai percorsi per le due ruote». E l’intesa sarebbe quasi perfetta: si sale dolcemente in treno, si discende altrettant­o dolcemente con la bicicletta trasportat­a, poco prima, in ferrovia.

Romano Vecchiet, Il fascino del treno, Ediciclo, Portogruar­o, pagg. 95, € 8,50

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