I treni somigliano alla vita
Tra Tav e ve cchie linee senza tempo, il viaggio si fa emblematica metafora del male di vivere (ma anche del suo opposto)
Frecce scoccate da Milano e Torino che vanno a conficcarsi a Roma, Napoli, Salerno. E che dal Sud ritornano, con la sorprendente banalità di una metropolitana veloce. È la rivincita del treno, il dinosauro di ferro che grazie all’alta velocità ha trovato il rilancio dopo decenni di goffa subalternità nei confronti dell’aereo e dell’automobile. Silenziosi, scattanti come tigri, i nuovi treni rappresentano il tramonto del lento scorrere del paesaggio e del tempo. Sulle linee ad alta velocità va in scena la versione sincopata del viaggio: è sempre un muoversi nel più dilatato percorso dell’esistenza, ma senza le stesse sensazioni che la ferrovia offriva a uomini d’affari, famiglie, studenti, artisti.
È un i mmaginario, quello ferroviario, quasi tutto da reinventare alla luce degli spostamenti a oltre 300 allora. Ma allo stesso tempo è difficile abbandonare la tradizionale idea del treno archiviata nella memoria collettiva: la ferrovia delle “centoporte”, dei viaggi in comitiva, delle notti da fachiri trascorse in cuccetta o nel confort di un wagon lit. O ancora la ferrovia dei pranzi al wagon restaurant, delle macchine a vapore, delle stazioni di campagna, delle linee locali con le ritirate, i giardinetti fioriti, le piattaforme girevoli e i depositi locomotive. Senza dimenticare il lato oscuro del treno: le odissee dei pendolari, costretti a stringersi in convogli inadeguati sotto il profilo del conforto, della frequenza e della velocità.
Due mondi così distanti, la scintillante Tav e le linee secondarie, corrono paralleli nel saggio Il fascino del treno di Romano Vecchiet, appassionato di storia e attualità delle ferrovie, direttore della Biblioteca civica di Udine. «Il mio - spiega Vecchiet - è un giudizio in bilico. L’alta velocità ha rilanciato il treno, ma i viaggi che si potevano fare sui vecchi convogli
| Aleksander Deineka, «I versi di Majakovskij», olio su tela, 1955
non esistono più. Sarebbe bello, invece, se il successo della Tav favorisse il rilancio dei treni locali, le ferrovie complementari, il recupero dei rami secchi».
Piccole divagazioni di viaggio tra binari e stazioni, quelle di Vecchiet, che finiscono per dare unità alla transizione tra la ferrovia archetipo industriale e la ferrovia che finalmente si fa beffe di auto e aerei. Il treno, del resto, è sempre stato testimone e protagonista della nostra storia, sia pure con una visione laterale, quella dal finestrino, allo stesso tempo parziale ed effimera. Un tempo, essere collegati a una rete ferroviaria era ossigeno puro come, oggi, l’essere connessi a internet: si poteva dialogare con il mondo, si poteva l avorare, commerciare, vivere, sperare, sognare.
I treni assomigliano alla vita. Tra Tav e vecchie linee senza tempo, il viaggio si fa emblematica metafora del male di esistere, ma anche del suo opposto. «Il treno - scrive Vecchiet - non è un semplice mezzo di locomozione. È un po’ questo: un mix di tecnologico da un lato, e di emozionale dall’altro». Littorine, regionali, espressi, Frecce e Tgv sono quinte te-
atrali, salotti, confessionali, tempo sospeso, generatori di odio e amore, moltiplicatori di attese e illusioni. I momenti di riflessione, di studio, di solitaria lettura sono in genere più frequenti dei momenti di conversazione con le persone incontrate. La ferrovia è capace di radicalizzare i sentimenti positivi verso il mondo che scorre fuori dal finestrino o, al contrario, di suscitare un profondo rigetto nei viaggiatori “per forza”.
L’insofferenza nei confronti del treno non è un’invenzione di questi anni, e tanto meno appannaggio esclusivo di movimenti come i no Tav. Semplicemente, la ferrovia non è mai stata solo un’avventura turistica per viaggiatori felici. Ha svolto un ruolo determinante nelle guerre, ed è, nei suoi non rari momenti di inefficienza, complice recidiva di sofferenze fisiche e psicologiche.
Ma Romano Vecchiet è al fianco di chi apprezza il treno come espressione vitale di gioia, di ricordo, di scoperta ed emozione. Qualcosa che riaffiora, per esempio, nelle opere d’arte del pittore russo Aleksander Deineka. «Fra tutte le esperienze artistiche legate al treno - osserva Vecchiet - quelle del sociali- smo reale mi sembrano le più ingenue e vicine a un ideale di trasporto ferroviario lieto e ludico. Nel grigiore delle dittature, il viaggio in ferrovia poteva infatti rappresentare uno dei pochi momenti di libertà. E il treno poteva avere la sua rivincita».
Cosa rimarrà del treno ideale, da plastico ferroviario, adesso che siamo incapsulati in rettili di metallo che strisciano velocissimi in galleria? Rimane una certa propensione al turismo ferro-gastronomico, al viaggio in vetture “Corbellini” trainate da vecchie locomotive a vapore, diesel, elettriche. Antiche e un po’ spaesate signore dei binari insidiate dalle biciclette. «C’è questa moda - dice Vecchiet - di fare a ogni costo piste ciclabili sulle vecchie sedi ferroviarie. Le ciclabili, invece, avrebbero bisogno di treni che corrono paralleli ai percorsi per le due ruote». E l’intesa sarebbe quasi perfetta: si sale dolcemente in treno, si discende altrettanto dolcemente con la bicicletta trasportata, poco prima, in ferrovia.
Romano Vecchiet, Il fascino del treno, Ediciclo, Portogruaro, pagg. 95, € 8,50