Quella sgualdrina fa l’artista
| Étienne Azambre, «Au Louvre», 1894 al pari di uomo», «arte maschia», «carattere virile»… È un mondo scopertamente fallocentrico e misogino quello con cui le artiste dell’epoca dovranno fare faticosamente i conti, ben riassunto da Flaubert nel suo Dictionnaire des idées reçues alla voce «donna artista»: «non può che essere una sgualdrina. Saccente».
Il ricchissimo saggio di Charlotte Foucher Zarmanian, corredato da un affascinante apparato iconografico i n parte inedito, sulle créatrices attive a cavallo tra i due secoli muove da queste premesse, e dall’articolo del 1971 di Linda Nochlin intitolato provocatoriamente «Perché non ci sono state grandi artiste donne?», per dimostrare come e perché, nell’ambito delle fonti bibliografiche relative alla storiografia del simbolismo, si evidenzi a lungo una quasi totale assenza di nomi femminili.
L’autrice mira a riscoprire, o piuttosto a «esumare un simbolismo sepolto», nascosto, ma mai assente, che le donne hanno rappresentato in diversi modi, talune con risultati eccezionali. Esplorando l e strategie «camaleontiche», prudenti o sovversive che esse hanno adottato per trovare un proprio posto nell’ar- te (camuffamento, utilizzo di pseudonimi, cinismo e ironia, mecenatismo, e molto altro), il testo rivela la tenacia, l’audacia e il coraggio con cui, in epoca simbolista, le donne hanno potuto comunque creare, anche se spesso nell’ombra. L’arco temporale preso in esame va dal 1880 al 1914 circa e le artiste a cui il testo vuole restituire valore e legittimità, facendole uscire da un limbo invisibile in cui sono state troppo spesso relegate, sono circa una sessantina, non solo di area francese.
Interessanti i casi di alcune «creatrici» come Sarah Bernhardt e Judith Butler, alle quali non veniva perdonato di accontentarsi di eccellere in una sola arte; entrambe capaci di farsi notare anche nella scultura, a cui si dedicavano con passione, venivano pesantemente schernite e ridicolizzate poiché, come altre artiste dell’epoca, evocavano l’ideale rinascimentale di femina universalis che nei turbolenti anni fin-de-siècle spaventava e irritava i colleghi maschi, sempre più spesso chiamati ad essere uomini (e artisti) “con qualità”, e sempre più consapevoli, al contrario, delle loro, talora non facilmente camuffabili, debolezze.
Charlotte Foucher Zarmanian, Créatrices en 1900. Femmes artistes en France dans les milieux symbolistes, Mare & Martin (Prix du musée d’Orsay), Paris, pagg. 358, € 37