L’equilibrio tra compliance e «cartelle»
La legge di bilancio e il decreto collegato costituiscono l’ennesima occasione per parlare di come il fisco incida sulle vite di tutti i cittadini. Si tratta di un’altra opportunità per affrontare il tema del necessario equilibrio da raggiungere tra la nuova strategia di compliance e l’azione volta all’emersione di imponibili sottratti all’Erario. Ma è possibile avere un fisco più equo e dialogante e, al tempo stesso, condurre un’efficace lotta all’evasione? Per rispondere è bene fare un punto della situazione e comprendere, in primo luogo, dove il nostro ordinamento stia andando. L’evoluzione normativa più recente fa intravedere una chiara linea di condotta del legislatore che, sempre di più, mette in campo nuovi strumenti di dialogo: ruling, cooperative compliance, voluntary disclosure.
Forse l’uso degli anglismi è eccessivo, ma è certo che la direzione intrapresa è quella giusta perché, oggettivamente, si stanno ponendo le basi per superare la logica dello scontro a favore di quella del dialogo, meglio se preventivo. Si creano le condizioni giuridiche per un nuovo ruolo del fisco che, da controllore, diviene una sorta di consulente istituzionale dei contribuenti e “facilitatore” dei rapporti tributari.
Il percorso, però, sembra lungo perché, a oggi, il premio che lo Stato riconosce a chi collabora è troppo spesso limitato a poche semplificazioni procedurali o, nel migliore dei casi, a ridotti sconti sanzionatori. Su questi aspetti certamente c’è da lavorare, perché la corretta definizione dei benefici da collaborazione è, in una prima fase, elemento essenziale per imprimere velocità a un cambiamento da realizzare sul piano culturale, prima ancora che tecnico.
In ogni caso, l’efficacia degli strumenti di dialogo è direttamente proporzionata alla capacità dell’ordinamento di indurre comportamenti corretti. Tradotto: maggiore è l’efficacia dei controlli e più sarà probabile che i contribuenti comprendano come convenga dialogare con il fisco e non nascondersi, perché questa scelta sarebbe inutile e controproducente. Da questo punto di vista sembra esserci molto da fare. Innanzitutto, emerge ancora una scarsa capacità del sistema di processare correttamente tutte le informazioni già in proprio possesso. Si pensi al fatto che le banche dati sono scarsamente coordinate e, comunque, non in grado di far emergere, con semplicità, fenomeni di occultamento di basi imponibili.
Sullo sfondo, poi, si intravede un’ampia riorganizzazione della macchina dell’ amministrazione finanziaria con la creazione di un “super Ente”, dalla fusione di agenzia delle Entrate ed Equitalia, che gestirà sia l’accertamento delle imposte sia la riscossione. Questo è un tema decisivo. Un’efficace repressione, infatti, passa soprattutto dalla capacità di continuare sul percorso intrapreso e creare una struttura ancora più moderna ed evoluta, in grado di ricostruire la corretta capacità contributiva, cogliendo la specificità dei fenomeni e delle scelte economiche sottostanti. Un’ amministrazione che interpreti i fatti in maniera rigorosa, senza, però, alcuna forzatura. Sarà cruciale il momento di ricostituzione della classe dirigente, da realizzarsi post sentenza 37/15 della Corte costituzionale. L’efficacia dell’azione di contrasto alla evasione passa anche e soprattutto da un investimento serio e lungimirante sulle persone che quotidianamente la portano avanti e che devono avere competenza tecnica, esperienza sul campo e quel briciolo di “buon senso” sempre opportuno.
Per altro verso, probabilmente, è giunto anche il tempo di creare un migliore e ancora più puntuale criterio di misurazione dei risultati della lotta all’evasione, più votato alla qualità dei recuperi e che consideri la quantità un elemento non secondario, ma ulteriore.
La risposta alla domanda iniziale, insomma, non può che essere positiva. Si può, anzi si deve, creare un modello con il giusto equilibrio tra compliance erepressione. Il nostro sistema fiscale, però, non lo ha ancora raggiunto e la strada appare lunga sia sul piano del dialogo fisco -contribuenti sia su quello dell’efficacia della lotta all’evasione. Troppo spesso, poi, la logica di breve periodo sembra ancora guidare le scelte di un legislatore che talvolta, peraltro, pasticcia un po’ troppo complicando anche ciò che sarebbe semplice (come per il ravvedimento operoso).