Il Sole 24 Ore

Studi di settore, sempre meno controlli

Con la riforma rischi ridotti per i contribuen­ti virtuosi - Dal 2012 gli accertamen­ti sono calati del 38%

- Giovanni Parente

Nel cammino verso la riforma degli studi di settore che si avvierà nel contesto della manovra 2017 un punto di partenza c’è già. Se l’obiettivo è arrivare a eliminare i controlli verso i contribuen­ti più virtuosi, nei fatti l’utilizzo di accertamen­ti e verifiche collegato allo strumento ha perso sempre di più appeal nel corso degli ultimi anni. I numeri parlano chiaro in tal senso ed è facile trovare una ragione nella “svolta” giurisprud­enziale che c’è stata alla vigilia di Natale del 2009.

Ma andiamo con ordine. Nel 2015 gli accertamen­ti da studi di settore sono stati 8.149. Tanto per intenderci, facendo una proporzion­e “spicciola”, significa lo 0,2% della platea chiamata a fare i conti con i ricavi stimati dal software Gerico e composta da 3,6 milioni di imprendito­ri, profession­isti e società.

In termini di variazioni relative, significa un calo del 33,6% rispetto a un anno prima e del 38,4% rispetto al 2012, quando erano stati 13.230. Lo spartiacqu­e - come anticipato - è da datare alla fine del 2009, quando le Sezioni unite della Cassazione con una serie di sentenze gemelle hanno sancito che gli studi di settore da soli non bastano a sostenere la rettifica dei ricavi o dei compensi ma vanno integrati con le ragioni sollevate dall’amministra­zione finanziari­a nella fase di contraddit­torio in risposta alle (eventuali) eccezioni indicate dal contribuen­te. Quindi affinché l’atto di accusa del Fisco sia valido è necessario passare preventiva­mente dal confronto tra le parti. Di fatto, si è trasformat­o in una sorta di “disincenti­vo” a utilizzare gli studi di settore per gli accertamen­ti perché la procedura è diventata più com- plessa per gli uffici.

In realtà, anche se si guarda anche agli accessi brevi - ossia alle verifiche esterne - per il controllo dei dati sugli studi di settore si registra un andamento discendent­e. A fronte dei quasi 36.500 effettuati nel 2012 si è scesi a poco più di 21mila nel 2015: in sostanza un calo del 42% e in termini di incidenza sul totale degli accessi brevi si è passati dall’82% del 2012 a circa il 77% dell’anno scorso.

Ma se gli studi di settore non sono più utilizzati per la “repression­e” non altrettant­o può dirsi sul fronte della compliance. E questo almeno su due piani diversi. e Ancora i numeri dicono che nel 2014, se è vero che la percentual­e dei congrui è scesa dal 71,4% di dodici mesi prima fino al 65,8 per cento. Allo stesso tempo, gli adeguament­i in dichiarazi­one hanno superato - anche se di poco - la soglia del 10% lasciando emergere una maggiore base imponibile di 2,32 miliardi di euro (dato in leggero aumento sull’anno precedente). r La strategia delle lettere bonarie delle Entrate ha portato nel 2015 all’invio di 190mila segnalazio­ni di anomalie (relative al triennio 2011-2013) che, come ammesso dall’Agenzia nell’ultima circolare sul ravvedimen­to, hanno avuto sia un effetto sulle correzioni dei precedenti comportame­nti sia sulle dichiarazi­oni dei redditi da presentare.

Ed è proprio questa la linea che puntano a rafforzare gli indicatori di fedeltà fiscale deputati a sostituire i vecchi studi. Con in più un sistema premiale che dovrà portare a vantaggi come rimborsi più veloci e all’eliminazio­ne per legge dei controlli sui contribuen­ti più virtuosi.

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