Un’Opera teatrale che vale la pena
Qual è il modo giusto per interpretare, in un moderno Stato di diritto, il concetto di “fine pena mai”? La nostra società è condannata per sempre a perseguire la detenzione in senso ostativo verso quelle persone che si sono rese responsabili di crimini particolarmente gravi, oppure è matura per prendere in considerazione anche un’idea diversa, che contempli e metta in atto il principio di riparazione?
Si dirà che, di fronte alle grandi emergenze del nostro tempo, dalle migrazioni alla povertà assoluta, quella degli ergastolani è una situazione molto specifica, un cluster proporzionalmente piccolo nella generale drammaticità della condizione carceraria. Ci sono, però, almeno un paio di ragioni che rendono la questione strategica.
La prima è l’attenzione illuminata che al tema sta dedicando la Chiesa cattolica, sotto l’impulso di Papa Francesco e del suo Giubileo della misericordia. Per citare solo un esempio, il 29 settembre, durante la visita al carcere di Opera, il cardinale di Milano, Angelo Scola, ha esplicitamente sostenuto che «l’ergastolo non può essere una tomba anticipata», con ciò rimarcando il concetto di «giustizia misericordiosa» che viene continuamente sottolineato dal Papa.
Il secondo motivo è il crescente interesse dello Stato, e del ministero della Giustizia in particolare, intorno alle pratiche “riparative”. Se, infatti, si riuscisse a dimostrare che perfino gli ergastolani, ossia le persone che per tutta la vita non possono fare altro che saldare i propri conti con la Giustizia, potrebbero in realtà diventare una risorsa per la collettività e non solo un costo, ecco che allora tutto l’impianto della pena come riabilitazione personale e sociale ne uscirebbe rafforzato, con grande beneficio per la nostra civiltà giuridica e, forse, anche con qualche effetto positivo sui conti pubblici.
Ecco, dunque, che il tema assume un peso particolare e giustifica le molte, approfondite riflessioni recentemente pubblicate. A tal fine merita raccontare l’esperienza realmente straordinaria di un laboratorio teatrale interpretato dai detenuti di alta sicurezza del carcere di Milano Opera. Si tratta di un gruppo di 13 ergastolani che, dal 2007 in poi, hanno iniziato un percorso artistico ispirato dall’attività di una volontaria, Isabella Biffi. Su richiesta della direzione dell’istituto di pena milanese, la Biffi – attrice e cantante, già in precedenza protagonista di tour nelle carceri con i giovani di don Antonio Mazzi - ha ribaltato la modalità tradizionale degli uomini di spettacolo che si esibiscono dietro le sbarre per offrire qualche ora di svago ai detenuti, ottenendo come risultato che sono i carcerati - - in questo caso proprio gli ergastolani – a uscire per portare il recital nei teatri.
L’elenco delle performance realizzate dal 2008 in poi è lungo e tocca anche palcoscenici di primo piano, dall’Arcimboldi di Milano all’Ariston di Sanremo. La “compagnia” sta ora preparando un nuovo musical, intitolato al “Figliol prodigo”: una “anteprima” si svolgerà dopodomani, mercoledì 26 ottobre, nello spazio teatrale del carcere di Opera, davanti alle istituzioni. Va sottolineato che l’iniziativa è sostenuta con forza, oltre che dal ministero della Giustizia, anche dalla Regione Lombardia.
Giacinto Siciliano, direttore della casa di reclusione Milano Opera, che fin dall’inizio ha voluto e promosso il progetto, spiega che «il carcere, anche se chiuso da mura di cinta, non può restare isolato rispetto al territorio. Il laboratorio del musical cerca di restituire alla comunità il messaggio di persone che hanno accolto proposte di cambiamento nella loro vita. Quello che emerge è un valore prezioso, che viaggia all’interno come all’esterno: ciascuno, in qualunque situazione si trovi, può sempre decidere chi essere e chi diventare».
Ma se questo è vero, le conseguenze positive si riflettono anche sulle politiche carcerarie. «Abbiamo volutamente alzato la posta – ricorda Siciliano –, anche perché spesso i progetti di riabilitazione negli istituti di pena sono legati principalmente alla disponibilità di fondi pubblici e, terminati quelli, esauriscono i propri effetti. In questo caso, invece, le ricadute sono tangibili e ben percepibili». Tanto che alcuni degli attori-detenuti sono anche diventati preziosi testimonial della legalità presso i giovani, così come in quelle stesse zone di “deserto umano” dove prima erano maturate le loro scelte criminali.