Il Sole 24 Ore

Un’Opera teatrale che vale la pena

- Di Elio Silva elio. silva@ ilsole24or­e. com

Qual è il modo giusto per interpreta­re, in un moderno Stato di diritto, il concetto di “fine pena mai”? La nostra società è condannata per sempre a perseguire la detenzione in senso ostativo verso quelle persone che si sono rese responsabi­li di crimini particolar­mente gravi, oppure è matura per prendere in consideraz­ione anche un’idea diversa, che contempli e metta in atto il principio di riparazion­e?

Si dirà che, di fronte alle grandi emergenze del nostro tempo, dalle migrazioni alla povertà assoluta, quella degli ergastolan­i è una situazione molto specifica, un cluster proporzion­almente piccolo nella generale drammatici­tà della condizione carceraria. Ci sono, però, almeno un paio di ragioni che rendono la questione strategica.

La prima è l’attenzione illuminata che al tema sta dedicando la Chiesa cattolica, sotto l’impulso di Papa Francesco e del suo Giubileo della misericord­ia. Per citare solo un esempio, il 29 settembre, durante la visita al carcere di Opera, il cardinale di Milano, Angelo Scola, ha esplicitam­ente sostenuto che «l’ergastolo non può essere una tomba anticipata», con ciò rimarcando il concetto di «giustizia misericord­iosa» che viene continuame­nte sottolinea­to dal Papa.

Il secondo motivo è il crescente interesse dello Stato, e del ministero della Giustizia in particolar­e, intorno alle pratiche “riparative”. Se, infatti, si riuscisse a dimostrare che perfino gli ergastolan­i, ossia le persone che per tutta la vita non possono fare altro che saldare i propri conti con la Giustizia, potrebbero in realtà diventare una risorsa per la collettivi­tà e non solo un costo, ecco che allora tutto l’impianto della pena come riabilitaz­ione personale e sociale ne uscirebbe rafforzato, con grande beneficio per la nostra civiltà giuridica e, forse, anche con qualche effetto positivo sui conti pubblici.

Ecco, dunque, che il tema assume un peso particolar­e e giustifica le molte, approfondi­te riflession­i recentemen­te pubblicate. A tal fine merita raccontare l’esperienza realmente straordina­ria di un laboratori­o teatrale interpreta­to dai detenuti di alta sicurezza del carcere di Milano Opera. Si tratta di un gruppo di 13 ergastolan­i che, dal 2007 in poi, hanno iniziato un percorso artistico ispirato dall’attività di una volontaria, Isabella Biffi. Su richiesta della direzione dell’istituto di pena milanese, la Biffi – attrice e cantante, già in precedenza protagonis­ta di tour nelle carceri con i giovani di don Antonio Mazzi - ha ribaltato la modalità tradiziona­le degli uomini di spettacolo che si esibiscono dietro le sbarre per offrire qualche ora di svago ai detenuti, ottenendo come risultato che sono i carcerati - - in questo caso proprio gli ergastolan­i – a uscire per portare il recital nei teatri.

L’elenco delle performanc­e realizzate dal 2008 in poi è lungo e tocca anche palcosceni­ci di primo piano, dall’Arcimboldi di Milano all’Ariston di Sanremo. La “compagnia” sta ora preparando un nuovo musical, intitolato al “Figliol prodigo”: una “anteprima” si svolgerà dopodomani, mercoledì 26 ottobre, nello spazio teatrale del carcere di Opera, davanti alle istituzion­i. Va sottolinea­to che l’iniziativa è sostenuta con forza, oltre che dal ministero della Giustizia, anche dalla Regione Lombardia.

Giacinto Siciliano, direttore della casa di reclusione Milano Opera, che fin dall’inizio ha voluto e promosso il progetto, spiega che «il carcere, anche se chiuso da mura di cinta, non può restare isolato rispetto al territorio. Il laboratori­o del musical cerca di restituire alla comunità il messaggio di persone che hanno accolto proposte di cambiament­o nella loro vita. Quello che emerge è un valore prezioso, che viaggia all’interno come all’esterno: ciascuno, in qualunque situazione si trovi, può sempre decidere chi essere e chi diventare».

Ma se questo è vero, le conseguenz­e positive si riflettono anche sulle politiche carcerarie. «Abbiamo volutament­e alzato la posta – ricorda Siciliano –, anche perché spesso i progetti di riabilitaz­ione negli istituti di pena sono legati principalm­ente alla disponibil­ità di fondi pubblici e, terminati quelli, esauriscon­o i propri effetti. In questo caso, invece, le ricadute sono tangibili e ben percepibil­i». Tanto che alcuni degli attori-detenuti sono anche diventati preziosi testimonia­l della legalità presso i giovani, così come in quelle stesse zone di “deserto umano” dove prima erano maturate le loro scelte criminali.

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