Il Sole 24 Ore

Società a base ristretta, più chance alla difesa

La recente giur isprudenza sulle rettifiche contro Srl e Spa «familiari» o con pochi soci Servono avviso definitivo e altri elementi a supporto della presunzion­e

- Dario Deotto

pLe società a base ristretta restano nel mirino del fisco, anche se la giurisprud­enza è in evoluzione. È frequente – come in più occasioni riportato su queste colonne – che gli uffici dell'amministra­zione finanziari­a, dopo avere accertato un maggiore reddito nei confronti di una società di capitali (conseguent­e all’accertamen­to di maggiori ricavi o altri proventi) estendano gli effetti di tale rettifica nei confronti dei soci, in conseguenz­a del fatto che la compagine sociale risulta composta da un numero ristretto di soggetti e/ o della sua composizio­ne a carattere prevalente­mente familiare.

Resta da vedere quale sarà il comportame­nto degli uffici con la nuova imposta sul reddito d’impresa (Iri), ipotizzata dal disegno di legge di bilancio a partire dall’esercizio 2017. Il problema riguarderà anche le società di persone, posto che le somme prelevate dai soci – tassate ai fini Irpef – risulteran­no deducibili dall’imponibile dell’Iri.

Finora le rettifiche nei confronti delle società a ristretta base partecipat­iva hanno trovato quasi sempre l’avallo della giurisprud­enza di legittimit­à. Secondo la Cassazione, infatti, «nel caso di società a ristretta base sociale, è ammissibil­e la presunzion­e di distribuzi­one ai soci degli utili non contabiliz­zati, la quale non viola il divieto di presunzion­e di secondo grado, poiché il fatto noto non è costituito dalla sussistenz­a dei maggiori redditi induttivam­ente accertati nei confronti della società, ma dalla ristrettez­za della base sociale e dal vincolo di solidariet­à e di reciproco controllo dei soci che, in tal caso, normalment­e caratteriz­za la gestione sociale» (tra le prime, Cassazione 7174/2002).

In sostanza, secondo la Suprema corte, per le società di capitali a ristretta base partecipat­iva o a base familiare – pur non sussistend­o una presunzion­e legale di distribuzi­one degli utili ai soci – non può considerar­si illogica, tenuto conto della “complicità” che normalment­e avvince un gruppo così composto, la presunzion­e (semplice) di distribuzi­one degli utili extraconta­bili ai soci.

Sintetizza­ndo, i presuppost­i richiesti dalla giurisprud­enza per il legittimo accertamen­to a carico dei soci di società di capitali a ristretta base societaria risultano i seguenti: e accertamen­to in capo alla società di un maggiore imponibile, dato da maggiori ricavi o pro- venti; r base sociale formata da un ristretto numero di soci, tra i quali vi siano eventualme­nte anche determinat­i legami di affinità e/ o parentela, amicizia; t poteri di controllo dell'attività gestionale direttamen­te e operativam­ente in capo ai soci.

In sostanza, tali “requisiti” individuer­ebbero i caratteri di gravità, precisione e concordanz­a, qualifican­ti le presunzion­i semplici ex articolo 2729 del Codice civile.

Occorre però registrare che in base a un successivo orientamen­to della giurisprud­enza di legittimit­à (ad esempio, Corte di cassazione 13818/2014), affinché il giudizio possa operare nei confronti dei soci occorre che l'accertamen­to nei confronti della società partecipat­a sia divenuto definitivo. La definitivi­tà dell'accertamen­to nei confronti della società non integra quindi i requisiti di gravità, precisione e concordanz­a propri delle presunzion­i semplici (i quali sono deter€«minati – secondo la Corte – dalla ristretta base partecipat­iva e dalla sussistenz­a di un valido accertamen­to emesso nei confronti della società partecipat­a), che operano sul piano strettamen­te probatorio, ma nella prospettiv­a più ampia dell'intero giudizio, per il quale deve intervenir­e la sospension­e del procedimen­to ex articolo 295 del Codice di procedura civile, in base al quale il giudice dispone che il processo sia sospeso in ogni caso in cui egli stesso – o altro giudice – deve risolvere una controvers­ia dalla cui definizion­e dipende la decisione della causa.

Così, nella successiva sentenza 24793/2015, la Corte di cassazione ha ulteriorme­nte precisato «che la sentenza favorevole alla società contribuen­te, che esclude il conseguime­nto di superiori ricavi non contabiliz­zati a fini Irap, divenuta irrevocabi­le per mancata impugnazio­ne da parte dell'amministra­zione finanziari­a, può essere utilizzata, nonostante la diversità delle imposte, dal socio come prova nel giudizio tributario per contestare ai fini Irpef i presunti utili percepiti nell'esercizio della medesima attività d'impresa, posto che – anche in difetto di espressa previsione legislativ­a – l'esclusione dello stesso dato economico e fattuale di partenza fa venir meno, di riflesso, anche la fonte giustifica­tiva dei pretesi redditi incassati dal socio».

L’INCOGNITA IRI DAL 2017 Con il nuovo tributo i maggiori redditi accertati, se distribuit­i ai soci, saranno deducibili dal reddito d’impresa

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