Al transfer pricing solo rilievi «solidi»
Dalla giurisprudenza tributaria ulteriori limiti alle contestazioni mosse senza adeguate valutazioni economiche La Ctr Lombardia respinge le richieste degli uffici prive di approfondite analisi di comparabilità
pNelle contestazioni di transfer pricing l’ufficio deve svolgere approfondite analisi economiche secondo i principi Ocse a supporto delle proprie tesi. I rilievi non adeguatamente motivati, talvolta basati sul cosiddetto cherry picking dei comparabili, devonopertantoessere rigettati. Lo confermano due recentisentenzedellaCtrLombardia, in continuità con un orientamento che si sta rafforzando (si vedano gli esempi). Le sentenze della Ctr Lombardia vanno accolte con favore proprio perché ribadiscono l’importanza delle analisi di comparabilità nelle valutazioni sui prezzi di trasferimento: non di rado le aziende affrontano contestazioni non adeguatamente motivate che trascurano questo aspetto.
Cessione di beni
La prima sentenza (4280 del 19 luglio) origina da una contestazione sulle cessioni di beni da parte di una società italiana nei confronti delle proprie consociate tedesche. Secondo le Entrate le cessioni erano state effettuate a un prezzo non di mercato, perché nello stesso periodo d’imposta (anno 2009) il contribuente aveva ceduto i medesimi beni a terzi a prezzi superiori. L’ufficio pertanto aveva rettificato il prezzo praticato alle consociate sulla base dei valori di vendita applicati ai clienti indipendenti, utilizzando il metodo del confronto di prezzo (Cup).
I giudici hanno evidenziato, citando sia le linee guida Ocse sia la circolare 32/1980, che le analisi di comparabilità devono riguardare vari aspetti, tra i quali natura e qualità del prodotto, caratteristiche del mercato, trasporto, imballaggio, pubblicità, garanzie, resi, spese doganali e rischio di cam- bio. In aggiunta, anche l’analisi funzionale è di estrema importanza. Dopo queste premesse la sentenza osserva che nel caso specifico l’ufficio, pur avendo teoricamente riconosciuto la necessità di valutare tutti questi fattori, in pratica aveva considerato solo le spese di trasporto e le quantità cedute, senza esaminare i mercati e le funzioni svolte. Il contribuente, al contrario, aveva prodotto analisi da cui si evinceva chiaramente che la società svolgeva attività di marketing, assumendone i rischi connessi, solo nei confronti dei terzi. In aggiunta vi erano state vendite a terzi nel mercato italiano, con prezzi in linea a quelli applicati alle consociate. Questi aspetti non erano stati considerati dall’ufficio, per cui i giudici hanno rigettato la pretesa ritenendola inattendibile.
Finanziamenti intra-gruppo
La seconda sentenza (3813 del 27 giugno) nasce invece da una contestazione sul tasso di un’operazione di finanziamento intragruppo. Il contribuente italiano aveva ricevuto due finanziamenti da una società controllata del gruppo, anch’essa residente in Italia, che a sua volta si finanziava presso una consociata residente in Lussemburgo. Il tasso applicato dalla controllata italiana era pari al tasso sul finanziamento ricevuto dalla società lussemburghese, più uno spread. Che però l’ufficio contestava, giudicandolo non in linea col principio del valore normale.
Secondo i giudici lombardi non è il contribuente che deve giustificare le proprie scelte operative ma è l’ufficio che deve fornire la prova della mancata rispondenza delle transazioni intra-gruppo con le pratiche di libero mercato. Nello specifico, l’ufficio si era limitato ad enunciare che i tassi applicati avrebbero dovuto essere inferiori, senza tuttavia dimostrarlo. L’Agenzia contestava poi un comportamento elusivo argomentando che, se l’operazione fosse stata strutturata come finanziamento diretto dalla società lussemburghese alla controllante italiana con contestuale garanzia concessa dalla controllata italiana alla controllante, non vi sarebbe stata sottrazione di materia imponibile in Italia. Ma anche su tale aspetto la commissione ha ritenuto infondata la pretesa perché l’ufficio non aveva dimostrato il proprio assunto. Peraltro, osservano i giudici, la transazione contestata era posta in essere tra due società italiane e non poteva essere contestata in base all’articolo 110, comma 7, del Tuir.