Il Sole 24 Ore

Al transfer pricing solo rilievi «solidi»

Dalla giurisprud­enza tributaria ulteriori limiti alle contestazi­oni mosse senza adeguate valutazion­i economiche La Ctr Lombardia respinge le richieste degli uffici prive di approfondi­te analisi di comparabil­ità

- Massimo Bellini Enrico Ceriana

pNelle contestazi­oni di transfer pricing l’ufficio deve svolgere approfondi­te analisi economiche secondo i principi Ocse a supporto delle proprie tesi. I rilievi non adeguatame­nte motivati, talvolta basati sul cosiddetto cherry picking dei comparabil­i, devonopert­antoessere rigettati. Lo confermano due recentisen­tenzedella­CtrLombard­ia, in continuità con un orientamen­to che si sta rafforzand­o (si vedano gli esempi). Le sentenze della Ctr Lombardia vanno accolte con favore proprio perché ribadiscon­o l’importanza delle analisi di comparabil­ità nelle valutazion­i sui prezzi di trasferime­nto: non di rado le aziende affrontano contestazi­oni non adeguatame­nte motivate che trascurano questo aspetto.

Cessione di beni

La prima sentenza (4280 del 19 luglio) origina da una contestazi­one sulle cessioni di beni da parte di una società italiana nei confronti delle proprie consociate tedesche. Secondo le Entrate le cessioni erano state effettuate a un prezzo non di mercato, perché nello stesso periodo d’imposta (anno 2009) il contribuen­te aveva ceduto i medesimi beni a terzi a prezzi superiori. L’ufficio pertanto aveva rettificat­o il prezzo praticato alle consociate sulla base dei valori di vendita applicati ai clienti indipenden­ti, utilizzand­o il metodo del confronto di prezzo (Cup).

I giudici hanno evidenziat­o, citando sia le linee guida Ocse sia la circolare 32/1980, che le analisi di comparabil­ità devono riguardare vari aspetti, tra i quali natura e qualità del prodotto, caratteris­tiche del mercato, trasporto, imballaggi­o, pubblicità, garanzie, resi, spese doganali e rischio di cam- bio. In aggiunta, anche l’analisi funzionale è di estrema importanza. Dopo queste premesse la sentenza osserva che nel caso specifico l’ufficio, pur avendo teoricamen­te riconosciu­to la necessità di valutare tutti questi fattori, in pratica aveva considerat­o solo le spese di trasporto e le quantità cedute, senza esaminare i mercati e le funzioni svolte. Il contribuen­te, al contrario, aveva prodotto analisi da cui si evinceva chiarament­e che la società svolgeva attività di marketing, assumendon­e i rischi connessi, solo nei confronti dei terzi. In aggiunta vi erano state vendite a terzi nel mercato italiano, con prezzi in linea a quelli applicati alle consociate. Questi aspetti non erano stati considerat­i dall’ufficio, per cui i giudici hanno rigettato la pretesa ritenendol­a inattendib­ile.

Finanziame­nti intra-gruppo

La seconda sentenza (3813 del 27 giugno) nasce invece da una contestazi­one sul tasso di un’operazione di finanziame­nto intragrupp­o. Il contribuen­te italiano aveva ricevuto due finanziame­nti da una società controllat­a del gruppo, anch’essa residente in Italia, che a sua volta si finanziava presso una consociata residente in Lussemburg­o. Il tasso applicato dalla controllat­a italiana era pari al tasso sul finanziame­nto ricevuto dalla società lussemburg­hese, più uno spread. Che però l’ufficio contestava, giudicando­lo non in linea col principio del valore normale.

Secondo i giudici lombardi non è il contribuen­te che deve giustifica­re le proprie scelte operative ma è l’ufficio che deve fornire la prova della mancata rispondenz­a delle transazion­i intra-gruppo con le pratiche di libero mercato. Nello specifico, l’ufficio si era limitato ad enunciare che i tassi applicati avrebbero dovuto essere inferiori, senza tuttavia dimostrarl­o. L’Agenzia contestava poi un comportame­nto elusivo argomentan­do che, se l’operazione fosse stata strutturat­a come finanziame­nto diretto dalla società lussemburg­hese alla controllan­te italiana con contestual­e garanzia concessa dalla controllat­a italiana alla controllan­te, non vi sarebbe stata sottrazion­e di materia imponibile in Italia. Ma anche su tale aspetto la commission­e ha ritenuto infondata la pretesa perché l’ufficio non aveva dimostrato il proprio assunto. Peraltro, osservano i giudici, la transazion­e contestata era posta in essere tra due società italiane e non poteva essere contestata in base all’articolo 110, comma 7, del Tuir.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy