Il simbolo di un fallimento
Il gigantesco e vergognoso accampamento di Calais è diventato in questi anni, a ragione, il simbolo del fallimento delle politiche francesi (ed europee) in tema di immigrazione. E di integrazione.
Il problema vero infatti non è tanto (o solo, o soprattutto) quello del numero di migranti. In Francia, Paese di 65 milioni di abitanti, gli immigrati sono circa 5,6 milioni, l’8,6% della popolazione. L’anno scorso il loro numero è cresciuto di circa 200mila unità, lo 0,3% della popolazione. E sono state accolte 27mila domande d’asilo. Anche volendo prendere per buone le stime più alte del numero di migranti a Calais (8mila), il loro trasferimento si traduce in 18 persone (medie) per ognuno dei 450 centri di accoglienza. Numeri insomma che un Paese moderno, civile e ben organizzato dovrebbe essere tranquillamente in grado di gestire. Il problema vero è che questa situazione (che sembra bizzarramente aver colto di sorpresa le classi dirigenti) si inserisce in un contesto sociale già esplosivo – con le periferieghetto, la radicalizzazione identitaria e l’emergere del fondamentalismo islamico – alimentando paura, diffidenza, ostilità. Sentimenti sui quali soffia la propaganda dell’estrema destra. La soluzione ovviamente non è quella di sbarrare le porte (cioè le frontiere, cosa che peraltro non siamo in grado di fare), bensì di sviluppare una vera capacità di integrazione – scolastica, professionale, familiare – che sappia trasformare l’immigrazione da potenziale rischio di destabilizzazione sociale in opportunità.