Il Sole 24 Ore

Ddl taglia-stipendi, il M5S sfida il Pd

La maggioranz­a spinge per il rinvio in commission­e - Di Maio: vogliono tenersi il malloppo

- Manuela Perrone

p «Basta un sì». I deputati del M5S sfidano il Pd scippando lo slogan del referendum sulle riforme per invitare a votare la proposta di legge sui tagli ai costi della politica che approda oggi pomeriggio in Aula alla Camera. In tribuna è atteso il capo politico Beppe Grillo, che ieri sul blog ha attaccato il premier Matteo Renzi e ha esortato: «#SiateGener­osi e domani sarà il Pace e Bene Day». In piazza Montecitor­io ci saranno gli attivisti a dare battaglia. Ma i dem non cedono, accusano il M5S di demagogia e puntano a chiedere il rinvio del testo in commission­e.

Sul piatto il Movimento mette la riduzione delle indennità dei parlamenta­ri da 5mila euro netti a 5mila euro lordi al mese, un tetto di 3.500 euro mensili alle spese di soggiorno e di viaggio, niente alloggio a chi risiede a Roma, rimborso da 3.690 euro al mese per l’esercizio del mandato e la retribuzio­ne dei collaborat­ori, con l’obbligo di rendiconta­re tutti gli esborsi. Un pacchetto che, secondo il M5S, farebbe risparmiar­e 61 milioni l’anno sugli stipendi e 26 milioni di spese telefonich­e e di viaggio. «Più dei 58 milioni che deriverebb­ero dalle riforme costituzio­nali», fa notare Grillo. Che tuona contro i parlamenta­ri Pd: «Nulla vi è dovuto e il vostro non è uno stipendio, ma un privilegio inaccettab­ile: avete gli stipendi parlamenta­ri più alti di tutta Europa nel Paese europeo che più di tutti soffre la crisi e la disoccupaz­ione e nell’unico insieme alla Grecia in cui non esiste un reddito di cittadinan­za».

Forte dei dati che danno i deputati Pd primi nella classifica dei più assidui nei lavori parlamenta­ri, con il 73,8% dei presenti in Aula, Renzi, domenica, aveva rilanciato: «Perché non leghiamo l’inden- nità dei parlamenta­ri alla loro presenza? Di Maio ha il 37% delle presenze, perché non gli diamo il 37% dello stipendio?». Ma il candidato premier in pectore del Movimento, che ieri ha pranzato con Grillo e che è reduce dalle polemiche sui 108mila euro spesi in tre anni per “eventi sul territorio”, ha replicato: «Io ho solo il 12% di assenze, sono un vicepresid­ente della Camera: quando non voto, mi trovo o a presiedere o a svolgere un’altra serie di funzioni che mi vedono in missione». Polemica a distanza, antipasto di quel che potrebbe accadere oggi.

La raffica di interventi dei pentastell­ati si è aperta ieri in Aula con la “madrina” del provvedime­nto, Roberta Lombardi, che nel pomeriggio ha incontrato Grillo all’Hotel Forum raggiunta poi dalla senatrice Paola Taverna (il suggello della pace con le “ortodosse” dopo le frizioni sulla giunta romana di Virginia Raggi). «Volete voi oggi dimezzare l’indennità e rendiconta­re in trasparenz­a i soldi che i cittadini vi affidano?», ha chiesto Lombardi. «Oggi banalmente basta un sì». In sequenza, oltre a una trentina di altri deputati, le hanno dato manforte Alessandro Di Battista, Di Maio («Vogliono tenersi il malloppo»), Carlo Sibilia e Roberto Fico, i quattro che con Carla Ruocco compongono il direttorio tramontato. Quasi a smentire i dissapori e a dimostrare unità, nel nome dell’antica lotta M5S alla casta e alla partitocra­zia.

Dagli altri partiti controprop­oste e ironia. Forza Italia, tramite il capogruppo Renato Brunetta, suggerisce di legare l’indennità dei parlamenta­ri all’ultimo stipendio prima delle elezioni, garantendo il reddito di cittadinan­za ai parlamenta­ri prima disoccupat­i. Sinistra Italiana è contraria al rinvio della proposta M5S in commission­e. La Lega propone sei giorni massimi di assenza e poi dimissioni. Ma è dal Pd che sono arrivate le bordate. «Una saga della demagogia e del populismo», ha detto Marco Miccoli, sostenendo che «al taglio degli stipendi che i Cinque Stelle si sono autoimpost­i (18 milioni raccolti in tre anni e versati al Fondo per il microcredi­to, ndr) si è affiancato il pieno delle richieste di rimborso». Per Alessia Morani, «c’è un solo modo per tagliare i costi della politica e si chiama “fare le riforme”». «Una volta ridotti i parlamenta­ri da 945 a 730 - ha affermato Emanuele Fiano - discutiamo pure delle indennità, ma in modo serio e approfondi­to. Proprio la vicenda Di Maio dimostra quanto sia sbagliato continuare a brandire senza sosta la clava dell’antipoliti­ca».

La nuova trasferta romana di Grillo non serve soltanto a rinfocolar­e la guerra anti-casta. C’è da placare i malumori della fronda interna anti-Di Maio. C’è da studiare l’exit strategy se domani non si raggiunger­à il quorum sulla piattaform­a Rousseau per il voto sulle modifiche a regolament­o e non statuto: tra le ipotesi anche quella che proceda lui, come capo politico. E c’è da risolvere la grana Palermo, con il caso firme false: le comunarie dovrebbero tenersi, fanno sapere dal Movimento, dopo le decisioni sul regolament­o.

IL «NON STATUTO» Il leader M5S studia l’exit strategy nel caso in cui non si raggiunga il quorum sulla piattaform­a Rousseau per il voto alle modifiche sul regolament­o

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