Lo yuan cade ai minimi da 6 anni
Il copione è già scritto, la Cina dovrà fronteggiare un’ imminente ondata di capitali in fuga, sui quali era appena arrivato l’estintore dell’autorità di controllo sulla valuta estera. Nessun problema, tutto tranquillo, anche se i dati sui flussi crossborder raccontavano tutta un’altra storia. Ieri lo yuan - quasi a far dispetto agli alti dignitari impegnati nella prima giornata del Plenum del partito comunista che deve preparare il terreno a decisioni chiave della leadership che verrà - ha toccato il minimo da sei anni a questa parte.
La corsa verso il basso, che ha subito un’accelerazione ai primi di ottobre subito dopo l’inse- rimento dello yuan nel basket delle monete dell’Fmi, sembra inarrestabile. Tenerlo in casa propria è uno spreco, lo yuan debole, i cinesi cercano in tutti i modi di sfruttarne le potenzialità oltreconfine. Un flusso di valuta che non finisce più, a tutto discapito della tenuta della bilancia valutaria cinese, emigra verso altri lidi senza che si riesca a beccare gli autori.
Lo yuan ha registrato infatti un nuovo minimo sul dollaro, la Banca centrale cinese ha fissato la parità a quota 6,7690, al livello più basso da settembre 2010 e in calo di 132 punti base rispetto al cambio di venerdì. Lo yuan è ben sotto le aspettative per il 2016, vale a dire 6,75 sul dollaro entro fine anno. In più ieri si è creato un effetto domino, il won sud-coreano al terzo giorno consecutivo di deprezzamento con un calo dello 0,1%, il dollaro di Taiwan (-0,3%) e il ringgit malese, che ha ceduto lo 0,1%.
I motivi di questo ulteriore deprezzamento sarebbero tutta colpa delle aspettative per l’aumento dei tassi di interesse della Federal Reserve e del dollaro forte, ha detto il portavoce della Safe (State Administration of Foreign Exchange), Wang Chunying. Fatto sta che l’economia di Pechino, ancora una volta, deraglia rispetto al dirigismo della nomeklatura cinese rinchiusa in un Plenum tutto intento a spostare le pedine del potere.