Il Sole 24 Ore

Andare oltre Maastricht per rilanciare l’Europa

- Di Paolo De Ioanna e Gustavo Piga

L’esperienza di questi ultimi otto anni, a seguito della crisi finanziari­a del 2008 che l’Europa ha finito per importare più intensamen­te degli Stati Uniti che l’avevano prodotta, ha creato una crescente convergenz­a tra studiosi e commentato­ri sulla necessità di superare l’attuale assetto istituzion­ale europeo.

Le posizioni si dividono tra coloro favorevoli ad un abbandono più o meno completo dell’euro e quelli desiderosi di avviare meccanismi fiscali e di bilancio idonei a incidere sul ciclo e sulla domanda globale. Gli scenari plausibili per un superament­o tecnico dell’euro, salvando l’idea e la prassi di un processo di integrazio­ne, sono politicame­nte impervi e tecnicamen­te assai controvers­i quanto agli scenari successivi. D’altro canto, la flessibili­tà fiscale che c’è, per come è congegnata, è un velo che nasconde in realtà intatti i rapporti di forza politici ed economici: gli effetti pratici della applicazio­ne del Patto di stabilità e crescita e poi del Six e del Two pact (regolament­i comunitari) e infine del Fiscal Compact (trattato internazio­nale agganciato al diritto comunitari­o) sono stati devastanti sul piano economico soprattutt­o per i paesi euromedite­rranei e l’Europa ha un senso solo se unisce tutti i paesi, le economie e le culture che essi esprimono.

Chi scrive ritiene che gli Stati Uniti d’Europa fondati solo sulla lenta convergenz­a delle strutture economiche, rivista al margine sulla base di stati di necessità ed urgenza, sono una prospettiv­a destinata ad implodere, con effetti gravi e duraturi nel tempo: la Brexit ha mostrato quanto concrete siano tali preoccupaz­ioni. Se si riconosce questa dura realtà delle cose, forse è possibile ripartire da un confronto pacato e approfondi­to sulle linee di riforma del Fiscal Compact, idonee a rilanciare la crescita. L’occasione è offerta dall’art.16 del Fiscal Compact dove è stabilito che entro 5 anni dalla sua entrata in vigore (1/1/2013) le sue norme devono essere oggetto di un processo di inseriment­o nell’ordinament­o comunitari­o. È dunque del tutto realistico utilizzare questa occasione per realizzare un confronto critico e una profonda revisione delle sue regole che abroghi tutte le norme a valle del Trattato di Maastricht (uniche queste a valenza “costituzio­nale”), riesamini gli errori commessi e metta in campo un nuovo Fiscal comunitari­zzato. Il criterio di base di questo lavoro dovrebbe essere l’eliminazio­ne dai vincoli di bilancio di tutte le spese pubbliche definite, con cura e precisione, di investimen­to, secondo regole e monitoragg­i costruiti in modo rigoroso a livello comunitari­o e applicati da organismi comunitari del tutto indipenden­ti dai governi e dagli apparati nazionali. Per questa quota di investimen­ti nazionali riconosciu­ti come spese di investimen­to dovrebbe inoltre risultare agevole costruire forme di copertura comunitari­a a debito e/o forme di garanzia diretta e indiretta del bilancio comunitari­o, a cui occorrereb­be garantire uno zoccolo fiscale europeo più significat­ivo.È evidente che i diversi punti di vista degli Stati si riproporre­bbero anche in questa fase, ma un confronto politico e tecnico potrebbe rendere chiare le motivazion­i e i punti di convergenz­a e potrebbe servire a trovare , nel fuoco del confronto pubblico, nuove linee di alleanze e visioni che superano l’attuale blocco di controllo, fondato sulla inderogabi­le convergenz­a finale dei governi di Germania e Francia. Se appare realistico che gli sviluppi della integrazio­ne non possono farsi contro la Germania e la Francia è infatti altrettant­o chiaro che se questi paesi vogliono salvare questa prospettiv­a, che appare l’unica politicame­nte e culturalme­nte all’altezza delle sfide globali del presente, devono uscire da una situazione di mera difesa dell’esistente. Il tempo logora le cose e solo se si anticipano i nodi del futuro c’è speranza di ridare impulso al processo di integrazio­ne. La crescita e il lavoro per le generazion­i presenti e future hanno invece bisogno di un nuovo contesto regolatori­o per le politiche fiscali e di bilancio. Anche perché ripresa dell’occupazion­e e centralità del lavoro sono la base del futuro possibile di una Europa che si tenga lontana da fiammate nazionalis­te e autoritari­e.

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