La durezza delle regole
Alcune esortazioni molto ponderate, pienamente condivisibili dal settore creditizio italiano. E una sola staffilata, quasi a ricordare che, in effetti, una specificità italiana c’è e riguarda l’esposizione delle banche verso l'elevato debito sovrano nazionale. La lezione tenuta ieri all’Università Bocconi dal capo del Supervisory board del Single Supervisory Mechanism, Danièle Nouy, non poteva non risentire dell’attuale clima di difficile dialogo intraeuropeo.
Le difficoltà sono molto visibili sul terreno della finanza pubblica, ma certo le cose non appaiono meno complesse quando si considerino i (magri) progressi sul campo dell’Unione bancaria.
Per questo è significativo che ieri la presidente del Consiglio di vigilanza della Bce abbia «aperto» alla possibilità di introdurre ulteriori requisiti di capitale per le banche che nei propri bilanci hanno titoli di Stato. «C’è il pensiero di aggiungere un buffer a fronte dei titoli di Stato detenuti. Per ora è un'idea della Commissione, noi speriamo che la decisione venga presa a livello internazionale. La richiesta di ulteriori requisiti di capitale non sarebbe rivoluzionaria». Come si sa, adesso la disciplina prudenziale assegna al titolo di Stato un «rischio zero» e quindi ne prevede un trattamento preferenziale rispetto ad altre esposizioni; quanto alle banche italiane, secondo le più recenti stime l’esposizione ai titoli di Stato domestici ammontava a 360 miliardi di euro, pari al 10,1 per cento del totale delle attività. Nel suo intervento, Nouy ha in ogni caso ricordato alle aziende di credito italiane che c’è spazio per un’ulteriore riduzione dei costi e che è necessario diventare meno dipendenti dai tassi d'interesse. Anche se il rendimento del capitale proprio (Roe) delle istituzioni di credito sottoposte alla vigilanza Bce è salito nel 2015, passando dal 2,8% al 4,5% medio, nel 2016 i motivi per preoccuparsi della bassa profittabilità ci sono, ha spiegato, citando la discesa delle quotazioni di Borsa che fino allo scorso mese di settembre ha interessato tutte le banche di Eurolandia. Di qui le esortazioni dell'autorità di vigilanza europea: badare ai costi, puntare di più sui ricavi da commissioni, scommettere sull’innovazione tecnologica e su ulteriori fusioni cross border; insomma, cambiare il modello di business senza assumere rischi eccessivi. A chi le girava le critiche di parzialità verso le banche tedesche a partire da Deutsche Bank, rivolte alla vigilanza europea dal Financial Times, Nouy ha replicato che le eccezioni alla regola erano previste e hanno riguardato anche altre istituzioni di altri paesi; dunque non c'è stato alcun favoritismo verso la Germania. «Puoi essere duro solo se sei attento a livellare il campo di gioco» ha affermato. Non è tuttavia riuscita a fugare il dubbio che la durezza dei regulators nel dopo- crisi abbia comunque prodotto un eccesso soffocante di regolamentazione in campo creditizio e la sensazione che le continue richieste di aumenti di capitale per le banche giochino alla fine un ruolo pro-ciclico.