Fatture false, per l’imputazione non basta una firma «negata»
In tema di reati tributari, l’utilizzo di fatture false non può essere dimostrato solo con il disconoscimento da parte del presunto emittente della firma apposta in calce ai documenti. Per la dichiarazione infedele, invece, occorrono le prove dei trasferimenti finanziari tra le parti. La Corte di cassazione, terza sezione penale, con la sentenza 44897 depositata ieri, richiede delle prove più rigorose per la responsabilità dei delitti fiscali.
Il legale rappresentante di una Srl veniva imputato per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (articolo 2 del Dlgs 74/2000). Secondo la ricostruzione dei fatti, la contribuente avrebbe indicato costi fittizi documentati da fatture contraffatte, al fine di ottenere un risparmio di imposta. Era anche imputato del reato di dichiarazione infedele (articolo 4 del Dlgs. 74/00), per non aver indicato in dichiarazione elementi attivi per 780mila euro, riferiti ad alcune fatture rinvenute presso la se- de del committente. L’imprenditore veniva condannato, sia in primo grado sia in appello ed in particolare, la Corte territoriale rilevava che la falsità dei documenti fiscali era confermata dal disconoscimento della firma in calce agli stessi. In altre parole, il soggetto che risultava essere stato l’emittente delle fatture contestate, aveva disconosciuto la firma apposta. Con riferimento, invece, all’omessa indicazione di ricavi, il giudice di appello rilevava che dalle prove prodotte, non risultavano dichiarate alcune fatture.
La decisione veniva così impugnata dinanzi alla Cassazione lamentando, in estrema sintesi, un’inadeguatezza delle prove a sostegno dei reati contestati. I giudici di legittimità, riformando la decisione, hanno innanzitutto considerato che in riferimento alle fatture false, la Corte di appello aveva confermato la responsabilità penale solo sul presupposto che l’asserito emittente di tali documenti avesse disconosciuto la firma. Tuttavia, la Suprema Corte ha rilevato che le fatture non sono documenti la cui perfezione è legata alla sottoscrizione da parte del soggetto emittente, con la conseguenza che tali affermazioni risultano del tutto irrilevanti ai fini probatori.
Nella specie, peraltro, sarebbe stata facilmente documenta- bile l’eventuale falsità della transazione, attraverso riscontri bancari. Secondo alcune dichiarazioni dei testimoni, infatti, il pagamento avveniva sempre per contanti previo prelevamento da altro conto corrente riconducibile all’imputato.
Analogamente, anche per il reato di dichiarazione infedele, la Cassazione ha ritenuto insufficienti le prove. L’accusa, infatti, era fondata solo sulla documentazione contabile rinvenuta presso l’impresa committente della società, tuttavia senza alcun riscontro dell’esistenza dei flussi finanziari.
Solo così, infatti, si sarebbe potuto realmente provare l’effettività di ricavi non dichiarati. Da qui l’accoglimento del ricorso dell’imprenditore.