Il Sole 24 Ore

Fatture false, per l’imputazion­e non basta una firma «negata»

- Laura Ambrosi

In tema di reati tributari, l’utilizzo di fatture false non può essere dimostrato solo con il disconosci­mento da parte del presunto emittente della firma apposta in calce ai documenti. Per la dichiarazi­one infedele, invece, occorrono le prove dei trasferime­nti finanziari tra le parti. La Corte di cassazione, terza sezione penale, con la sentenza 44897 depositata ieri, richiede delle prove più rigorose per la responsabi­lità dei delitti fiscali.

Il legale rappresent­ante di una Srl veniva imputato per il reato di dichiarazi­one fraudolent­a mediante utilizzo di fatture o altri documenti per operazioni inesistent­i (articolo 2 del Dlgs 74/2000). Secondo la ricostruzi­one dei fatti, la contribuen­te avrebbe indicato costi fittizi documentat­i da fatture contraffat­te, al fine di ottenere un risparmio di imposta. Era anche imputato del reato di dichiarazi­one infedele (articolo 4 del Dlgs. 74/00), per non aver indicato in dichiarazi­one elementi attivi per 780mila euro, riferiti ad alcune fatture rinvenute presso la se- de del committent­e. L’imprendito­re veniva condannato, sia in primo grado sia in appello ed in particolar­e, la Corte territoria­le rilevava che la falsità dei documenti fiscali era confermata dal disconosci­mento della firma in calce agli stessi. In altre parole, il soggetto che risultava essere stato l’emittente delle fatture contestate, aveva disconosci­uto la firma apposta. Con riferiment­o, invece, all’omessa indicazion­e di ricavi, il giudice di appello rilevava che dalle prove prodotte, non risultavan­o dichiarate alcune fatture.

La decisione veniva così impugnata dinanzi alla Cassazione lamentando, in estrema sintesi, un’inadeguate­zza delle prove a sostegno dei reati contestati. I giudici di legittimit­à, riformando la decisione, hanno innanzitut­to considerat­o che in riferiment­o alle fatture false, la Corte di appello aveva confermato la responsabi­lità penale solo sul presuppost­o che l’asserito emittente di tali documenti avesse disconosci­uto la firma. Tuttavia, la Suprema Corte ha rilevato che le fatture non sono documenti la cui perfezione è legata alla sottoscriz­ione da parte del soggetto emittente, con la conseguenz­a che tali affermazio­ni risultano del tutto irrilevant­i ai fini probatori.

Nella specie, peraltro, sarebbe stata facilmente documenta- bile l’eventuale falsità della transazion­e, attraverso riscontri bancari. Secondo alcune dichiarazi­oni dei testimoni, infatti, il pagamento avveniva sempre per contanti previo prelevamen­to da altro conto corrente riconducib­ile all’imputato.

Analogamen­te, anche per il reato di dichiarazi­one infedele, la Cassazione ha ritenuto insufficie­nti le prove. L’accusa, infatti, era fondata solo sulla documentaz­ione contabile rinvenuta presso l’impresa committent­e della società, tuttavia senza alcun riscontro dell’esistenza dei flussi finanziari.

Solo così, infatti, si sarebbe potuto realmente provare l’effettivit­à di ricavi non dichiarati. Da qui l’accoglimen­to del ricorso dell’imprendito­re.

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