Uranio, prezzo ai minimi da 12 anni
pPetrolio, carbone, gas. Dopo il crollo dei prezzi, tutti i combustibili sono rincarati nel 2016. Ma nel settore dell’energia c’è ancora una materia prima che sembra senza speranze: la Cenerentola è l’uranio, metallo impiegato, dopo un opportuno trattamento, per alimentare le centrali nucleari.
Il prezzo dell’ossido di uranio U3O8, base della cosiddetta yellowcake, è in caduta libera dal 2011, quando il disastro di Fukushima portò alla chiusura di tutti i reattori in Giappone, e non dà alcun segno di possibile ripresa. La settimana scorsa, secondo le rilevazioni di Ux Consulting, è sceso sotto la soglia psicologica dei 20 dollari per libbra, ai minimi da 12 anni: un livello di prezzo al quale, secondo Alexander Molyneux, ceo dell’au- straliana Paladin Energy, qualunque miniera nel mondo opera in perdita.
Nonostante tutto, nessuno si aspetta un’inversione di tendenza nel breve termine. Secondo lo stesso Molyneux «è possibile che il prezzo resti sotto 30$ fino al 2019». Della stessa opinione è il vicepresidente della russa Rosatom, Kirill Komarov, che non vede una svolta prima di tre anni.
Parte del problema è nella scarsa elasticità della domanda di uranio, che dipende dal numero di reattori in funzione nel mondo: benché la costruzione di nuovi impianti, al traino della Cina, proceda di buon ritmo, questo non basta a compensare del tutto le chiusure. Negli Usa il successo dello shale gas ha ridotto le prospettive di svi- luppo del nucleare. E il Giappone - pur non avendo rinunciato a questa fonte di energia - ha finora riavviato solo 2 reattori su 42.
L’altro motivo della caduta dei prezzi è la presenza di scorte molte ampie, sia presso i produttori - che pure hanno chiuso o rallentato molte miniere - sia presso le utilities. Inoltre c’è l’uranio degli arsenali militari, che viene reimpiegato per usi civili. Si stima che le scorte ammontino a circa un miliardo di libbre, a fronte di un fabbisogno di 170 milioni di libbre l’anno da parte delle centrali nucleari.
Di fronte a tale abbondanza (e al fatto che le utilities possono comunque contare su forniture contrattuali) gli acquisti sul mercato spot sono scarsi e le transazioni avvengono a prezzi sempre più bassi. «I venditori - spiegano gli analisti di TradeTech - sono sottoposti a crescenti pressioni finanziarie e hanno bisogno di generare cassa, oltre che raggiungere gli obiettivi di fine anno. Devono quindi scegliere se accrescere ancora le scorte o abbattere i prezzi pur di vendere».
Non stupisce che la discesa di prezzo sia accelerata nelle ultime settimane: da metà settembre il ribasso è stato del 25%, a 18,75 $/lb, il minimo da agosto 2004. Una libbra di ossido di uranio costava 34 $ all’inizio dell’anno e 73 $ prima di Fukushima, mentre nel 2007 - dopo un rialzo del 1.400% nei cinque anni precedenti - aveva raggiunto un picco di 136 $.