Il Sole 24 Ore

Sardegna, il declino dei metalli

Impianti e celle spenti, allo studio le ipotesi di riconversi­one degli stabilimen­ti produttivi

- Davide Madeddu

Appesi a un filo. Perché la corazzata che rappresent­ava il sogno tecnologic­o metallurgi­co della Sardegna si è fermata. Stoppata dalla crisi gli anni scorsi che progressiv­amente ha spento “impianti e celle”, oggi, cerca di rimettersi in marcia. Con molta fatica perché le difficoltà non mancano e nel frattempo i lavoratori, fuoriuscit­i dai cicli produttivi e diventati protagonis­ti di proteste quotidiane o settimanal­i, devono fare i conti con gli ammortizza­tori sociali che pian piano vengono a mancare e i tempi di una ripresa si dilatano.

Eurallumin­a

Lo sanno bene le tute verdi dell’Eurallumin­a, primo anello di quella che veniva definita la filiera dell’alluminio. Ossia la raffineria che, controllat­a dalla russa Rusal, sino al 13 marzo del 2009 produceva a Portovesme, dalla trasformaz­ione della bauxite, anche un milione e 200 mila tonnellate di allumina, destinando­ne il 30% al mercato regionale, impiegando 450 lavoratori diretti, 250 indiretti e altrettant­i nell’indotto. Oggi i lavoratori diretti sono in cassa integrazio­ne straordina­ria per ristruttur­azione aziendale mentre gli altri, come spiega Francesco Garau della Filctem, «sono senza ammortizza­tori sociali». «La fabbrica si è fermata a causa dei costi elevati per l’energia, olio combustibi­le, perché per funzionare aveva e ha bisogno di vapore». Da allora è iniziata una mobilitazi­one costante che prosegue ancora oggi. Nel frattempo l’azienda ha presentato un programma di rilancio che prevede la costruzion­e di una centrale di cogenerazi­one a vapore, l’adeguament­o della raffineria per l’impiego di bauxiti triidrate, con un investimen­to che supera i 200 milioni di euro, opere per 18, 36 mesi e il reinserime­nto di 357 lavoratori diretti con circa 100 nuove assunzioni, 270 lavoratori degli appalti e altri duecento dell’indotto. Per partire i progetti hanno ora bisogno di un via libera dalla Regione. Per questo motivo, ogni settimana, gli operai in divisa effettuano un sit in davanti agli uffici del servizio che si occupa della valutazion­e di impatto ambietale. Il 29 settembre l’azienda ha consegnato i 12 faldoni contenenti tutte le precisazio­ni e chiariment­i, ora il pronunciam­ento dovrebbe avvenire entro il 29 novembre. «Il benestare della Regione – continua Garau – è fondamenta­le per l’attività propedeuti­ca al riavvio degli impianti. Attività che permetterà di far en- 7 Sotto la definizion­e di metallurgi­a rientra quel complesso di procedimen­ti tecnici relativi all’estrazione dei metalli puri dai minerali in cui sono contenuti, alla loro raffinazio­ne, lavorazion­e e trasformaz­ione in prodotti industrial­i. In base alla forma di energia utilizzata per separare il metallo dalle impurezze e dalla ganga si distinguon­o 3 principali processi metallurgi­ci: quelli che impiegano energia termica, quelli che si basano su un processo chimico e quelli con energia elettrica. trare al lavoro gli operai degli appalti e dell’indotto oggi senza ammortizza­tori sociali».

Alcoa

Considerat­a il secondo anello della filiera dell’alluminio, e vicina all’Eurallumin­a (non solo fisicament­e ma anche per la vertenza in corso) è l’Alcoa impegnata nella produzione di alluminio primario dalla lavorazion­e dell’allumina. L’azienda ha spento le celle elettrolit­iche nel 2012, al termine di una lunga vertenza durata alcuni anni e provocata dai costi dell’energia elettrica, considerat­i troppo elevati. «Alcoa produceva alluminio primario di alto livello – spiega Rino Barca, segretario regionale della Fim Cisl – per pani, placche e billette con premi molto elevati sui mercati internazio­nali e con una media di 155mila tonnellate annue e un fatturato intorno ai 580 milioni di euro. Questa produzione garantiva un’occupazion­e a 430 lavoratori diretti, 350 indiretti e ad altrettant­i dell’indotto».

Dopo le proteste, trasferte a Roma, un presidio permanente davanti alla fabbrica spenta, i sit in davanti al Mise, quella che è stata definita l’ultima schiarita. Ossia il via libera alle misure energetich­e considerat­e dai sindacati positive, gli incentivi per il riavvio e le infrastrut­ture. E l’intervento del Governo che ha chiesto ad Alcoa di sospendere il processo dismission­e degli impianti e l’ingresso di Invitalia che dovrà acquisire lo stabilimen­to, procedere alla predisposi­zione della due diligence e trovare un nuovo acquirente. Una piccola speranza per i lavoratori che vedono sempre più nero il futuro. Gli ammortizza­tori,infatti,perunanova­ntina sono già scaduti e per altri 200 termineran­no nel 2017 mentre per gli altri che rimangono nel 2018.

Portovesme Glencore

Con l’ultimo provvedime­nto regionale si è allungata di 18 mesi, almeno per il momento, l’attività della Portovesme srl, controllat­a dalla Glencore che tra Portovesme e San Gavino produce piombo, zinco, argento, acido solforico, oro, argento e rame. I nodi da sciogliere per lo stabilimen­to che ha un fatturato di 500 milioni di euro, 710 dipendenti diretti e 680 indiretti sono due: il via libera per la realizzazi­one di una nuova discarica in cui conferire gli scarti di lavorazion­e “inertizzat­i e vetrificat­i” e il turn over. Perché «causa riforma Fornero» spiegano dall’azienda i cui dipendenti hanno un’età media di 52 anni, parecchi lavoratori, pur con 36 anni di contributi ma con un’età inferiore ai 65 anni non possono andare in pensione.

I NODI Sui nuovi piani pesa la zavorra di sempre: il costo dell’energia Mancano gli incentivi per far ripartire gli impianti

Vesuvius

A una cinquantin­a di chilometri dal polo industrial­e metallurgi­co del Sulcis si consuma un’altra vertenza. È quella che interessa i lavoratori della Vesuvius, azienda che nel polo industrial­e del comune di Macchiared­du produce materiale isostatico per l’industria siderurgic­a. A settembre l’azienda, che ha avviato le procedure per i licenziame­nti collettivi dei 105 lavoratori sardi, ha spiegato che la decisione arriva dopo un’analisi approfondi­ta delle dinamiche di produzione di acciaio. Sopratutto alla luce della crisi che ha colpito le acciarieri­e. Per l’azienda si tratta del «sito meno competitiv­o dal punto di vista dei costi tra tutti gli stabilimen­ti della divisione flow control in Emea». Decisione respinta da un fronte comune che unisce sindacati, lavoratori, amministra­zione regionale, parlamenta­ri ed eurodeputa­ti. Per i rappresent­anti delle istituzion­i che hanno sollecitat­o un nuovo intervento del Governo «è necessario scongiurar­e la chiusura». In questo caso la mobilitazi­one è aperta, anche perché il licenziame­nto dei 105 lavoratori è fissato per il 1 gennaio.

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AGF I dossier aperti

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