Sardegna, il declino dei metalli
Impianti e celle spenti, allo studio le ipotesi di riconversione degli stabilimenti produttivi
Appesi a un filo. Perché la corazzata che rappresentava il sogno tecnologico metallurgico della Sardegna si è fermata. Stoppata dalla crisi gli anni scorsi che progressivamente ha spento “impianti e celle”, oggi, cerca di rimettersi in marcia. Con molta fatica perché le difficoltà non mancano e nel frattempo i lavoratori, fuoriusciti dai cicli produttivi e diventati protagonisti di proteste quotidiane o settimanali, devono fare i conti con gli ammortizzatori sociali che pian piano vengono a mancare e i tempi di una ripresa si dilatano.
Eurallumina
Lo sanno bene le tute verdi dell’Eurallumina, primo anello di quella che veniva definita la filiera dell’alluminio. Ossia la raffineria che, controllata dalla russa Rusal, sino al 13 marzo del 2009 produceva a Portovesme, dalla trasformazione della bauxite, anche un milione e 200 mila tonnellate di allumina, destinandone il 30% al mercato regionale, impiegando 450 lavoratori diretti, 250 indiretti e altrettanti nell’indotto. Oggi i lavoratori diretti sono in cassa integrazione straordinaria per ristrutturazione aziendale mentre gli altri, come spiega Francesco Garau della Filctem, «sono senza ammortizzatori sociali». «La fabbrica si è fermata a causa dei costi elevati per l’energia, olio combustibile, perché per funzionare aveva e ha bisogno di vapore». Da allora è iniziata una mobilitazione costante che prosegue ancora oggi. Nel frattempo l’azienda ha presentato un programma di rilancio che prevede la costruzione di una centrale di cogenerazione a vapore, l’adeguamento della raffineria per l’impiego di bauxiti triidrate, con un investimento che supera i 200 milioni di euro, opere per 18, 36 mesi e il reinserimento di 357 lavoratori diretti con circa 100 nuove assunzioni, 270 lavoratori degli appalti e altri duecento dell’indotto. Per partire i progetti hanno ora bisogno di un via libera dalla Regione. Per questo motivo, ogni settimana, gli operai in divisa effettuano un sit in davanti agli uffici del servizio che si occupa della valutazione di impatto ambietale. Il 29 settembre l’azienda ha consegnato i 12 faldoni contenenti tutte le precisazioni e chiarimenti, ora il pronunciamento dovrebbe avvenire entro il 29 novembre. «Il benestare della Regione – continua Garau – è fondamentale per l’attività propedeutica al riavvio degli impianti. Attività che permetterà di far en- 7 Sotto la definizione di metallurgia rientra quel complesso di procedimenti tecnici relativi all’estrazione dei metalli puri dai minerali in cui sono contenuti, alla loro raffinazione, lavorazione e trasformazione in prodotti industriali. In base alla forma di energia utilizzata per separare il metallo dalle impurezze e dalla ganga si distinguono 3 principali processi metallurgici: quelli che impiegano energia termica, quelli che si basano su un processo chimico e quelli con energia elettrica. trare al lavoro gli operai degli appalti e dell’indotto oggi senza ammortizzatori sociali».
Alcoa
Considerata il secondo anello della filiera dell’alluminio, e vicina all’Eurallumina (non solo fisicamente ma anche per la vertenza in corso) è l’Alcoa impegnata nella produzione di alluminio primario dalla lavorazione dell’allumina. L’azienda ha spento le celle elettrolitiche nel 2012, al termine di una lunga vertenza durata alcuni anni e provocata dai costi dell’energia elettrica, considerati troppo elevati. «Alcoa produceva alluminio primario di alto livello – spiega Rino Barca, segretario regionale della Fim Cisl – per pani, placche e billette con premi molto elevati sui mercati internazionali e con una media di 155mila tonnellate annue e un fatturato intorno ai 580 milioni di euro. Questa produzione garantiva un’occupazione a 430 lavoratori diretti, 350 indiretti e ad altrettanti dell’indotto».
Dopo le proteste, trasferte a Roma, un presidio permanente davanti alla fabbrica spenta, i sit in davanti al Mise, quella che è stata definita l’ultima schiarita. Ossia il via libera alle misure energetiche considerate dai sindacati positive, gli incentivi per il riavvio e le infrastrutture. E l’intervento del Governo che ha chiesto ad Alcoa di sospendere il processo dismissione degli impianti e l’ingresso di Invitalia che dovrà acquisire lo stabilimento, procedere alla predisposizione della due diligence e trovare un nuovo acquirente. Una piccola speranza per i lavoratori che vedono sempre più nero il futuro. Gli ammortizzatori,infatti,perunanovantina sono già scaduti e per altri 200 termineranno nel 2017 mentre per gli altri che rimangono nel 2018.
Portovesme Glencore
Con l’ultimo provvedimento regionale si è allungata di 18 mesi, almeno per il momento, l’attività della Portovesme srl, controllata dalla Glencore che tra Portovesme e San Gavino produce piombo, zinco, argento, acido solforico, oro, argento e rame. I nodi da sciogliere per lo stabilimento che ha un fatturato di 500 milioni di euro, 710 dipendenti diretti e 680 indiretti sono due: il via libera per la realizzazione di una nuova discarica in cui conferire gli scarti di lavorazione “inertizzati e vetrificati” e il turn over. Perché «causa riforma Fornero» spiegano dall’azienda i cui dipendenti hanno un’età media di 52 anni, parecchi lavoratori, pur con 36 anni di contributi ma con un’età inferiore ai 65 anni non possono andare in pensione.
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Vesuvius
A una cinquantina di chilometri dal polo industriale metallurgico del Sulcis si consuma un’altra vertenza. È quella che interessa i lavoratori della Vesuvius, azienda che nel polo industriale del comune di Macchiareddu produce materiale isostatico per l’industria siderurgica. A settembre l’azienda, che ha avviato le procedure per i licenziamenti collettivi dei 105 lavoratori sardi, ha spiegato che la decisione arriva dopo un’analisi approfondita delle dinamiche di produzione di acciaio. Sopratutto alla luce della crisi che ha colpito le acciarierie. Per l’azienda si tratta del «sito meno competitivo dal punto di vista dei costi tra tutti gli stabilimenti della divisione flow control in Emea». Decisione respinta da un fronte comune che unisce sindacati, lavoratori, amministrazione regionale, parlamentari ed eurodeputati. Per i rappresentanti delle istituzioni che hanno sollecitato un nuovo intervento del Governo «è necessario scongiurare la chiusura». In questo caso la mobilitazione è aperta, anche perché il licenziamento dei 105 lavoratori è fissato per il 1 gennaio.