Le «trasformate» sotto tiro dell’Inps
Ma l’obbligo di versamento dei contributi non può scattare per le società semplici
Sulle trasformazioni “agevolate” in società semplice, appena “riaperte” dal disegno di legge di bilancio, pesa la scure dell’Inps, che sta notificando ai soci delle società trasformate nel corso della prima finestra (chiusa al 30 settembre 2016) richieste di iscrizione alla gestione previdenziale degli esercenti attività commerciali. Un rischio boomerang che pare contrario allo spirito della disciplina agevolativa.
Per incentivare la fuoriuscita degli asset immobiliari intestati a veicoli societari, ma di fatto nella disponibilità dei soci, la legge n. 208/2015 aveva consentito, tra le altre cose, la possibilità di trasformazione in società semplici alle società (Snc, Sas, Srl, Spa, Sapa) il cui oggetto esclusivo o principale fosse la gestione di immobili non strumentali all’attività d’impresa. Al ricorrere di questi presupposti, sulla differenza tra valore normale dei beni posseduti e il costo fiscalmente riconosciuto, si applicava l’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e dell’Irap nella misura dell’8% (10,5% per le società non operative), oltre ad altre agevolazioni.
Nel caso della trasformazione, la finalità della disciplina è coerente con il principio secondo cui il mutamento da società commerciale a società semplice - e, quindi, il passaggio da un soggetto esercente attività d’impresa a un altro cui questa attività è preclusa per legge - non è neutrale dal punto di vista fiscale, ma costituisce un’ipotesi di destinazione dei beni a finalità estranee all’impresa.
Ebbene, la ratio della disciplina tributaria mal si concilia con la richiesta di iscrizione, da parte dell’Istituto nazionale di previdenza, dei soci delle società semplici nella gestione degli esercenti attività commerciali.
Questa richiesta avviene di fatto in “automatico”, senza la verifica dei presupposti soggettivi e oggettivi che l’articolo 29, comma 1 della legge n. 160/1975 considera necessari ai fini dello speciale regime previdenziale, vale a dire, in particolare, che l’attività svolta dal socio: 1 sia qualificabile come commerciale; 1 sia gestita con rischio imprenditoriale e diretta prevalentemente con il lavoro proprio e dei familiari; 1 preveda la partecipazione personale al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza.
Requisiti che devono sussistere congiuntamente, come viene statuito anche dalla giurisprudenza (si vedano sul punto le sentenze della Corte di cassazione n. 3240/2010 e n. 3145/2013).
Del resto, nel caso di soci di società semplici i cui proventi derivano esclusivamente dalla locazione di immobili di proprietà (come tipicamente avviene nel caso delle società recentemente trasformate), l’attività di impresa commerciale e la conseguente produzione di redditi di impresa ai fini previdenziali dovrebbe essere esclusa anche a pre- scindere da valutazioni sull’attività prevalente del socio, trattandosi di mero godimento indiretto di beni appartenenti al patrimonio sociale (Tribunale di Monza 29 maggio 2014), come confermato dallo stesso Inps nella circolare n. 102/2003 e, in maniera meno chiara, nella circolare n. 171/2003.
In conclusione, il paradosso per cui, da una parte, l’ordinamento agevola ai fini tributari le trasformazioni in società che non possono svolgere attività imprenditoriale per legge e, dall’altra parte, considera imprenditori, sotto il profilo previdenziale, i soci di queste società, necessiterebbe di essere immediatamente fermato, magari con l’occasione della approvazione parlamentare del disegno di legge di bilancio 2017 che riapre i termini dell’agevolazione.
I REQUISITI DI ISCRIZIONE L’attività deve essere commerciale, gestita con rischio di impresa e deve prevedere la partecipazione personale al lavoro aziendale