Borse appese alla fine del dilemma Usa
La conclusione dell’incognita elettorale potrebbe portare gli investitori a valutare con concretezza i dati macro e quelli aziendali Le elezioni americane (e la composizione del Congresso) saranno uno spartiacque per i mercati
Il tradizionale rally di fine anno delle Borse pare un ricordo di anni spensierati della finanza. E le note delle case di investimento non aiutano a capire cosa succederà sui parterre nei prossimi due mesi. Le ipotesi si diramano in schemi ad albero per includere variabili multiple e instabili, che spaziano dalle elezioni americane alla bolla cinese, passando per la Brexit, per i crediti deteriorati delle banche e per il rientro dalle politiche ultra espansive delle autorità monetarie. Senza contare che poi sarebbe salutare arrivare a valutazioni concrete del Pil e degli utili aziendali. Un elemento comune alle analisi degli esperti è che si concentrano sui rischi di ribasso delle azioni, soprattutto delle americane che viaggiano vicine ai massimi storici, mentre le congetture su una loro risalita passano in subordine alla disamina degli ostacoli da superare, che assorbono gli sforzi di chi deve proteggere i portafogli da correzioni costose.
La prima incognita è l'esito delle presidenziali Usa, che con la rimonta di Trump nei sondaggi ha occupato la scena dei listini mondiali. L'avversione al rischio ha fermato Wall Street per molte sedute a fila e ha riportato denaro non solo sul classico bene rifugio, l'oro, che ha oltrepassato i 1.300 dollari l'oncia, ma pure sulle obbligazioni, sebbene in modo selettivo, che da tempo catalizzano i timori di uno sgonfiamento delle quotazioni. Invece i dati macroeconomici potevano indurre un po' più di ottimismo, sia per il settore manifatturiero, sia per quello dei servizi, che tengono in zona espansione. E la statistica diffusa ieri sui nuovi occupati statunitensi, inferiori alle attese, ma finalmente con paghe in aumento grazie alla saturazione della domanda di lavoro, ha sortito effetti contrastanti: l'S&P500 è rimbalzato di una frazione di punto percentuale, forse più per ricoperture dopo le vendite che per convinzione, mentre il dollaro fiacco e i rendimenti dei Treasury compressi dalla domanda non concordano con l'incremento dei salari che depone per una spinta all'inflazione e al costo del denaro.
La fine del dilemma è alle porte (si vota martedì 8 novembre), ma i dubbi degli operatori non si esauriranno in fretta. La vittoria di Hillary Clinton, in teoria, placherebbe l'ansia di Wall Street nel breve periodo, e manterrebbe inalterate le stime attuali sull'economia a stelle e strisce; quella di Trump costerebbe maggiore volatilità e una penalizzazione per i mercati emergenti, per via della sua propaganda protezionistica. Tutta-
L'incertezza sulle elezioni Usa ha indebolito il dollaro, nonostante la notizia dell'aumento dei salari
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