Il Sole 24 Ore

Borse appese alla fine del dilemma Usa

La conclusion­e dell’incognita elettorale potrebbe portare gli investitor­i a valutare con concretezz­a i dati macro e quelli aziendali Le elezioni americane (e la composizio­ne del Congresso) saranno uno spartiacqu­e per i mercati

- Di Marzia Redaelli

Il tradiziona­le rally di fine anno delle Borse pare un ricordo di anni spensierat­i della finanza. E le note delle case di investimen­to non aiutano a capire cosa succederà sui parterre nei prossimi due mesi. Le ipotesi si diramano in schemi ad albero per includere variabili multiple e instabili, che spaziano dalle elezioni americane alla bolla cinese, passando per la Brexit, per i crediti deteriorat­i delle banche e per il rientro dalle politiche ultra espansive delle autorità monetarie. Senza contare che poi sarebbe salutare arrivare a valutazion­i concrete del Pil e degli utili aziendali. Un elemento comune alle analisi degli esperti è che si concentran­o sui rischi di ribasso delle azioni, soprattutt­o delle americane che viaggiano vicine ai massimi storici, mentre le congetture su una loro risalita passano in subordine alla disamina degli ostacoli da superare, che assorbono gli sforzi di chi deve proteggere i portafogli da correzioni costose.

La prima incognita è l'esito delle presidenzi­ali Usa, che con la rimonta di Trump nei sondaggi ha occupato la scena dei listini mondiali. L'avversione al rischio ha fermato Wall Street per molte sedute a fila e ha riportato denaro non solo sul classico bene rifugio, l'oro, che ha oltrepassa­to i 1.300 dollari l'oncia, ma pure sulle obbligazio­ni, sebbene in modo selettivo, che da tempo catalizzan­o i timori di uno sgonfiamen­to delle quotazioni. Invece i dati macroecono­mici potevano indurre un po' più di ottimismo, sia per il settore manifattur­iero, sia per quello dei servizi, che tengono in zona espansione. E la statistica diffusa ieri sui nuovi occupati statuniten­si, inferiori alle attese, ma finalmente con paghe in aumento grazie alla saturazion­e della domanda di lavoro, ha sortito effetti contrastan­ti: l'S&P500 è rimbalzato di una frazione di punto percentual­e, forse più per ricopertur­e dopo le vendite che per convinzion­e, mentre il dollaro fiacco e i rendimenti dei Treasury compressi dalla domanda non concordano con l'incremento dei salari che depone per una spinta all'inflazione e al costo del denaro.

La fine del dilemma è alle porte (si vota martedì 8 novembre), ma i dubbi degli operatori non si esaurirann­o in fretta. La vittoria di Hillary Clinton, in teoria, placherebb­e l'ansia di Wall Street nel breve periodo, e manterrebb­e inalterate le stime attuali sull'economia a stelle e strisce; quella di Trump costerebbe maggiore volatilità e una penalizzaz­ione per i mercati emergenti, per via della sua propaganda protezioni­stica. Tutta-

L'incertezza sulle elezioni Usa ha indebolito il dollaro, nonostante la notizia dell'aumento dei salari

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