Bond, il rischio corre sul filo della liquidità
Alzare l’asticella del rischio, in un contesto di rendimenti ai minimi storici, è ormai un imperativo assoluto per gli investitori che desiderano dare un po’ di sprint ai propri portafogli. E per chi non è ancora pronto a fare un salto troppo in alto, con investimenti diretti sul mercato azionario, gli intermediari finanziari negli ultimi tempi stanno proponendo soluzioni d’investimento obbligazionarie via via imbottite di attività più rischiose, meno liquide e con profili di rating più basso.
Per rendere più appetibili i loro prodotti i gestori obbligazionari sono costretti a schiacciare il piede sull’acceleratore del rischio per “garantire” quantomeno ritorni positivi agli investitori più prudenti. Un fenomeno globale che nessuna istituzione finanziaria sta frenando. Anzi sono le stesse banche centrali che alimentano questa deriva di “lehmaniana” memoria. Basti pensare alle misure sempre più ardite della Bce nel quadro del quantitative easing. Dagli acquisti di bond pubblici l’Eurotower è passata ormai a comprare di tutto: covered bond, ma anche obbligazioni societarie e gli stessi vituperati Abs emessi a fronte di operazioni di cartolarizzazione che richiamano lo scoppio della bolla dei mutui subprime. In un tale contesto, con tutte le leve del rischio tirate verso l’alto, iniziano ad affiorare i primi campanelli di allarme, soprattutto sul fronte della liquidità del mercato obbligazionario che, se dovesse venir meno, dall’oggi al domani potrebbe causare dolori atroci paradossalmente per gli investitori più prudenti.
Esiste quindi il pericolo che si stia creando una nuova bolla speculativa. Cosa succederà quando le banche centrali dovranno tirare il freno alle politiche ultra-espansive e finiranno di pompare liquidità? È difficile fare delle previsioni, ma i rischi sono elevati.
Di recente Fitch ha messo in dubbio la liquidità di oltre il 90% dei bond presenti sul mercato. In particolare ha acceso un faro sui rischi legati alle condizioni di liquidità nei fondi obbligazionari europei, sottolineando che hanno raggiunto i massimi di tutti i tempi. Oggi è facile trovare prodotti obbligazionari pieni di titoli corporate, high yield, obbligazioni dei paesi emergenti, ma anche di Abs e Notes sui quali potrebbe “sparire” senza preavviso la liquidità. Nei portafogli dei fondi ci sono ormai tanti loans: i gestori non investono solo in obbligazioni ma anche in prestiti e per venderli è necessario trovare una controparte sul mercato disposta ad acquistarli. Non c’è un mercato regolamentato. E finché va tutto bene i problemi non emergono, ma se dovesse iniziare la corsa verso l’uscita da questi “investimenti” lo scoppio della bolla è dietro l’angolo. Quando partono i riscatti, con i sottoscrittori che ritirano i propri capitali dai fondi, l’accesso istantaneo alla liquidità che le obbligazioni dovrebbero offrire è invece insostenibile. Paradossalmente, come è già successo in passato, la difficoltà dei fondi di vendere le posizioni sottostanti potranno tradursi nella necessità di cedere i titoli più liquidi presenti nel portafoglio e rimanere imbottiti di titoli illiquidi e più rischiosi. E quando la liquidità si prosciuga non fa differenza tra piccole e grandi emissioni. Anche le emissioni di qualità diventano carta straccia. Il gestore che vuole vendere un titolo e non trova compratori, finisce con il liquidarlo a prezzi stracciati e a farne le spese saranno i sottoscrittori. Lehman docet.