Arrivano i Pir ma bisogna spiegarli bene
IPir potrebbero rivelarsi la vera novità, l’alternativa di investimento che oggi manca sul mercato italiano. Non prodotti dettati dalla moda del momento, ma nati da un progetto: dare linfa alle piccole medie imprese italiane. Un modo per impiegare i risparmi, certo, ma anche un atto di fiducia verso il nostro tessuto industriale, quello che per molto tempo è stato ed è considerato la spina dorsale del Paese. I Pir italiani sono piani di investimento a lungo termine che prevedono l’impiego di almeno il 70% del loro valore complessivo in strumenti finanziari di aziende italiane quotate. Di questo 70%, il 30% va indirizzato verso società non presenti nel Ftse-Mib, in modo da far affluire il denaro su aziende anche medio-piccole che non si finanziano direttamente sul mercato dei capitali. Insomma, molto più di una scommessa. In una situazione economica complessa come quella che attraversiamo ormai da anni, e non solo in Italia, avere un piano di sviluppo che possa essere finanziato da strumenti alternativi rispetto al tradizionale canale bancario potrebbe essere il plus che oggi manca. Non si tratta di un investimento di natura speculativa (il vincolo è 5 anni), ma il finanziamento di un progetto a medio termine che da un lato offre la possibilità (non la certezza, sia chiaro) di conseguire qualche punto di rendimento in più e dall’altro permette di destinare flussi di capitale verso l’economia reale. Ma gli italiani sono pronti a questo passaggio? Sono pronti a vincolare il proprio capitale per cinque anni, accollandosi comunque un rischio impresa medio piccola, ripagato da un trattamento fiscale di maggior favore? Probabilmente molti sì, se sanno che cosa acquistano, anche perché la tassazione ormai ha un’incidenza sempre più rilevante sui rendimenti e può compromettere pure quei piccoli punti di performance che si riescono a ottenere con fatica. Ed è qui che entra in gioco la professionalità di chi questi prodotti li proporrà, perché deve essere in grado di spiegare bene ciò che sta vendendo, non solo sventagliando il vantaggio fiscale ma sottolineando anche il grado di rischio che investire in un’azienda comporta.