RENDIMENTI E RISCHI
I rialzi di BTp e Bund
Tanto tuonò che piovve. Dopo gli innumerevoli avvertimenti (lanciati anche ripetutamente su Plus24) sui rischi legati all’obblgazionario, è arrivata la temuta ondata di vendite che ha interessato l’intero comparto a partire dai sovrani. Niente di drammatico, ma visti i bassissimi rendimenti l’effetto è significativo.
Per fare un esempio, tra inizio settembre e fine ottobre il BTp future ha lasciato sul terreno poco più del 5%, con rendimenti saliti dall’1,1% all’1,7%. Chi lo avesse comprato a settembre è come se stesse perdendo l’equivalente di 5 anni di cedola, se costretto a venderlo subito. L’effetto non si verifica portandolo a scadenza. Per il Bund la ricaduta è stato di un - 3,5% in termini di prezzo e con rendimenti tornati leggermente positivi. Nel reddito fisso c’è un rapporto inverso tra prezzi e rendimenti. Più si deprimono i primi, maggiormente salgono i secondi. Come si vede dalla tabella qua a fianco, ogni rialzo di 100 punti base di rendimento equivalgono a una perdita (in termini di prezzo) del 9% per un qualsiasi titolo decennale in caso di vendita.
«Per adesso - spiega Raffaele Zenti , co-fondatore e partner di Advise Only - il rialzo dei rendimenti dei BTp è abbastanza irrilevante. Su un grafico pluriennale è indistinguibile da miriadi di altri movimenti. Oggi però comprarsi un BTp all’1,6% non è particolarmente appetibile per l’investitore retail, anche se va bene sicuramente per alcuni istituzionali. Riteniamo che un eventuale ritorno del rendimento al 2,5% potrebbe far tornare questi titoli interessanti in prospettiva anche di una ripresa dell’inflazione. Ovviamente la scelta poi è molto soggettiva e legata alla propensione di ciascun risparmiatore».
Il ritorno dello spread in area 150 con il Bund e l’allargamento del differenziale con la Spagna una maggiore debolezza italiana dettata da fattori specifici. «Sui bond italiani - continua Zenti - fino a pochi giorni fa è stata sottovalutata la variabile referendum mentre ora il mercato sta cominciando a prezzare l’appuntamento del 4 dicembre. Non è un rischio grandissimo, ma un’ipotetica vittoria dei “No” potrebbe essere vissuta male dai mercati. Complessivamente non penso che i rendimenti possano balzare fuori controllo: l’attività della Bce è sempre presente e Francoforte è molto vigile».
Nelle ultime settimane alcune condizioni nel Vecchio Continente sembrano essere cambiate sul mercato. E gli operatori cominciano a incorporarle nei prezzi. Secondo Alfonso Maglio, portfolio manager di Marzotto Sim. «vi è la possibilità che gli operatori siano convinti che il Qe sia alle fasi finali e ulteriori annunci o azioni avranno un effetto estremamente marginale sul mercato. Si paventa lo scenario che abbiamo più volte ipotizzato ovvero che il mercato non “creda” più all’efficacia della Bce » . Ma c’è un’altra variabile che sta facendo capolino e che più di tutte spinge a un rialzo dei tassi. Si sta concretizzando un quadro inflativo più alto delle attese in modo da poter giustificare eventuali azioni di tapering. «A tal proposito - continua Maglio - è evidente il rialzo da inizio settembre dell’indicatore preferito della Bce nel monitorare le aspettative di inflazione scontate dal mercato, il 5 yr./ 5yr. inflation swap rate che è passato da 1,23 a 1,46 » . Insomma, le aspettative sull’inflazione stanno salendo e il mercato si mostra già sensibile al tema. Mentre l’Italia continua a navigare in deflazione, nell’eurozona a ottobre l’inflazione è salita intanto allo 0,5%.
È prematuro dire se è un segnale di inversione strutturale. Il meeting Bce del prossimo 8 dicembre potrebbe essere utile per capire le future mosse di Francoforte. Intanto cosa possono fare i risparmiatori? Ovviamente la prima regola è quella della diversificazione sapendo che le scadenze più lunghe sono quelle più esposte alla variabile rendimento, soprattutto se lo stesso investitore deve liquidare i titoli prima della scadenza. Per difendersi poi dall’inflazione gli esperti consigliano di inserire in portafoglio una quota di bond indicizzati.