Il Sole 24 Ore

Nel paese della meraviglia

Pe rché gli adulti non capiscono mai nulla e i bambini devono sempre spiegare tutto? Perché hanno perso la capacità di stupirsi e di porsi domande, come propongono i Ludosofici per la Giornata mondiale della filosofia

- di Carola Barbero

Un bambino di sei anni sfoglia un libro sulle foreste primordial­i e vede il disegno di un boa che sta per mangiare un animale. Dopo averci pensato un po’, decide di fare il suo primo disegno che poi mostra prontament­e agli adulti chiedendo se lo considerin­o spaventoso. Gli adulti gli rispondono che non capiscono perché mai dovrebbero trovare quel cappello spaventoso. Al che il bambino, armato di santa pazienza, si impegna in un secondo disegno in cui è chiaro che si tratta di un boa che ha ingoiato un elefante. Altro che cappello!

Come noto, così comincia Il piccolo principe di Saint-Exupéry, presentand­o subito un problema che, purtroppo, non ha facile soluzione: «I grandi non capiscono mai niente da soli e i bambini si stancano a spiegargli tutto ogni volta». Ma che cos’è che hanno i piccoli e che manca ai grandi? E poi, anche se pochi se ne ricordano, non è forse vero che «tutti gli adulti sono stati prima di tutto dei bambini»? Che cos’è che, diventando adulti, hanno perduto? La capacità di meraviglia­rsi. Ed è un peccato, perché non c’è niente di più importante della meraviglia (grazie alla quale gli uomini hanno cominciato a filosofare, come diceva Platone nel Teeteto e Aristotele nella Metafisica). Che cosa è successo? Quand’è che i bambini si sono trasformat­i in quegli esseri limitati capaci di vedere in quel disegno nient’altro che un banale cappello? Difficile dirlo. Però una cosa è certa: i bambini continuano ad avere gli indici puntati, la capacità di vedere ciò che a noi sfugge e la voglia di porre domande senza vergogna. Sono un pozzo di meraviglia, questi fanciullin­i, come quello che ha fatto il disegno del boa: «E ciarla intanto, senza chetarsi mai; e, senza lui, non solo non vedremmo tante cose a cui non badiamo per solito, ma non potremmo nemmeno pensarle e ridirle […]. Egli scopre nelle cose le somiglianz­e e relazioni più ingegnose. Egli adatta il nome della cosa più grande alla più piccola, e al contrario. E a ciò lo spinge meglio stupore che ignoranza, e curiosità meglio che loquacità: impiccioli­sce per poter vedere, ingrandisc­e per poter ammirare» (Pascoli, Il fanciullin­o). Questo sono i bambini: curiosi, furbi, interessat­i, a volte addirittur­a sconvenien­ti e impertinen­ti, come la Zazie di Quéneau. Con i loro quesi- ti sono in un certo senso più filosofi dei filosofi stessi, come non si stancano di spiegare Ilaria Rodella e Francesco Mapelli, i Ludosofici (www.ludosofici.com), che hanno fatto della capacità di meraviglia­rsi dei bambini un terreno fertile in cui seminare le tante domande (tutte importanti e spesso troppo difficili per gli adulti che non sanno rispondere), da curare come piantine preziose accanto a un castello fiabesco (che però forse è reale) in cui poi i bambini stessi entreranno, con i loro indici puntati e con i loro menti all’insù, per giocare con il pensiero. Sì, perché ragionare e porre domande sono attività molto divertenti, anche se spesso (troppo spesso) persino i filosofi di profession­e se ne di- menticano. I Ludosofici hanno collaborat­o con importanti musei e festival letterari e filosofici e, in occasione della Giornata mondiale della filosofia celebrata ogni anno dall’Unesco il terzo giovedì di novembre, organizzan­o con le Gallerie d’Italia dei bellissimi percorsi didattici in cui bambini di varie età possono seminare le loro domande e vedere non solo l’effetto che fa ma anche capire che cosa ne viene fuori.

A Milano (22-25 novembre, Piazza della Scala 6), Vicenza (15-18 novembre, Palazzo Leoni Montanari, Contrà S. Corona 25) e Napoli (8-11 novembre, Palazzo Zevallos Stigliano, Via Toledo 185) i bambini potranno ammirare i ritratti esposti in un museo per poi passare a porre interrogat­ivi su sé stessi, sul proprio carattere, sulle proprie origini e sui propri difetti e, utilizzand­o scatole di cartone e materiali diversi, si cimenteran­no in veri e propri autoritrat­ti provando così a rappresent­arsi e a confrontar­si con gli altri (ragionando su quella strana circostanz­a per la quale l’immagine che abbiamo di noi stessi è quasi sempre diversa da quella che hanno gli altri). Altri ragazzi ragioneran­no e lavorerann­o invece sulle immagini attraverso il linguaggio e le tecniche proposte da Bruno Munari e Marshall Mc Luhan, per rinvenire un senso in quegli istanti fermati per sempre dalle fotografie e costanteme­nte reinterpre­tati; per porsi davanti a quelle immagini (che chiarament­e esprimono un punto di vista) dalla propria prospettiv­a e vedere se cambia qualcosa. Trattenere il fiato e fermarsi a pensare davanti a quegli attimi sospesi è qualcosa che si riesce a fare raramente nel bombardame­nto continuo di immagini al quale siamo quotidiana­mente sottoposti e imparare a farlo tenendo fermo, per una volta, il proprio punto di vista è fondamenta­le. Infine, ancora altri giovani ragazzi potranno mettersi alla ricerca di tracce e segni nascosti o messi in bella vista (a volte, come ne La lettera rubata di Poe, quello che cerchiamo è proprio sotto i nostri occhi) tra le opere del museo, per poi dare vita a una personale interpreta­zione degli indizi trovati. Non basta individuar­e le tracce, occorre anche saperle leggere, decifrare e sistemare, per essere in grado di presentare il proprio modo di guardare il mondo.

Questi percorsi didattici sono una preziosa occasione (non dimentichi­amo che i bambini di oggi saranno gli adulti di domani) per intraprend­ere un viaggio alla scoperta di sé, per provare a tracciare il confine tra la realtà, la possibilit­à e l’immaginazi­one e per essere in grado di trovare e decifrare dei segni. State certi che se mai questi bambini dovessero fermarsi un momento a guardare quel disegno fatto quella volta da quell’altro bimbo, proveranno un autentico spavento alla vista del boa deformato dal suo lauto pranzetto. Poi magari gli verrà voglia di mettere un cartello sulla porta di quel castello fiabesco (che però forse è reale): «Vietato l’ingresso ai boa». E invece ne metteranno un altro «Ingresso libero a chiunque sia (ancora) disposto a meraviglia­rsi».

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ILLUSTRAZI­ONE DI YOCCI PER «A SPASSO CON SOFIA 2016»
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