Se la Difesa europea ora torna in agenda
Per una rarissima volta compatta, l’Europa delle cancellerie votava Hillary Clinton. Invece oggi si ritrova a fare i conti, obtorto collo, con la vittoria secca di Donald Trump e sorprendentemente non fa niente per nascondere il proprio disappunto. Al contrario.
Riposta l’artiglieria pesante della campagna elettorale, i n America i grandi sconfitti si sono comportati da statisti: siamo tutti americani, ha ricordato il presidente uscente Barack Obama, invitando il Paese all’unità e alla concordia. Ora dobbiamo lavorare tutti insieme al servizio del Paese della rule of law, ha insistito la Clinton.
L’Europa no. Dopo aver sbagliato clamorosamente scommessa, fatica a rassegnarsi al risultato. E così inciampa in una gaffe diplomatica degna del vituperato Trump quando, impettita, si dice pronta a cooperare ma nel segno di «valori condivisi quali democrazia, libertà, rispetto dei diritti e della dignità di ogni persona indipendentemente da origine, colore, religione, sesso, orientamenti sessuali e politici».
In breve, usa con il prossimo presidente americano lo stesso linguaggio che dovrebbe usare con il russo Vladimir Putin o al turco Tayyip Erdogan (ma troppo spesso se ne dimentica). Peggio, a mettersi in cattedra impartendogli come a uno scolaretto lezioni non richieste di buona politica democratica, è nientemeno che il cancelliere tedesco Angela Merkel, appoggiato dal presidente francese François Hollande.
Non è stata una sortita accorta, men che meno una partenza opportuna quella dei due maggiori leader di un’Unione dei 28, che il nuovo ciclone Usa promette di stanare molto presto nelle loro debolezze, divisioni, contraddizioni interne ed estrema leggerezza sulla scena internazionale.
Del resto l’invito di ieri all’inglese Theresa May, il primo ministro di Brexit, a recarsi al più presto a Washington «per costruire una relazione molto speciale» potrebbe essere visto come una prima risposta alla goffaggine diplomatica europea, l’assaggio indigesto di come la nuova America si relazionerà senza troppi complimenti con partner e alleati altezzosi.
Il trumpismo vittorioso è un oggetto ancora tutto da scoprire nei contenuti, dopo che i toni più concilianti hanno preso il posto delle rotture incendiarie della campagna elettorale. Però una cosa è sicura: dopo che per anni ha chiesto invano all’Europa di fare la sua parte senza risultati, la nuova America non sarà più disposta a transigere, a continuare a pagare per la sicurezza e la difesa altrui. Quindi o gli europei se ne assumono responsabilità e oneri finanziari oppure se la vedano da soli. Al punto che persino l’art.5 del Trattato atlantico, quello che impegna la Nato alla difesa collettiva, potrebbe essere rimesso in discussione con il futuro dell’Alleanza.
Di fatto l’Europa ha due mesi di tempo, da qui all’insediamento del nuovo presidente alla Casa Bianca, per mettere finalmente insieme un progetto credibile di integrazione ed efficienza militare delle sue forze, di sinergie tra le sue industrie della difesa, di investimenti all’altezza di una sfida la cui realizzazione è ancora più difficile di quella che ha dato vita (tuttora incompleta) all’euro più di 10 anni fa.
In 60 giorni si dovrebbe riuscire dove si è fallito per 62 anni, dall’implosione della Ced, la Comunità di euro-difesa. Mission impossible è dire poco. Le divisioni e le di- verse sensibilità tra i 27 restano profonde e insormontabili tra atlantisti e europeisti. I recenti piani franco-tedesco e italiano per superare l’impasse si sono arenati. Per di più Brexit, la secessione dell’unica superpotenza militare Ue insieme alla Francia, atterra e impoverisce ogni ambizione di questo tipo.
Forse anche per questo Trump ha convocato la May. Forse anche per questo, se euro-difesa ha da essere e presto, Londra deve partecipare e quindi Brexit dovrà essere più morbida del previsto. Forse anche per questo, invece delle lezioni magistrali della Merkel a Trump, le nuove iniziative tedesche nel settore avrebbero bisogno di efficaci e ben calibrate mediazioni diplomatiche e industriali a livello intra-europeo e transatlantico. Forse se non ci fosse una raffica di elezioni europee in vista sarebbe meno complicato addentrarsi in un terreno culturalmente, politicamente e finanziariamente minato. Forse prima dell’eurodifesa l’Europa avrebbe dovuto costruire l’Unione politica, il “tetto” che tuttora manca all’euro e si vede. Ma forse ormai è troppo tardi con il consenso popolare che si dilegua e i populisti che crescono. Il guaio è che i forse non basteranno più all’America che ha scelto Trump e l’Europa invece ultimamente sembra solo capace di affondare nella palude dei suoi forse.