Il Sole 24 Ore

Se la Difesa europea ora torna in agenda

- Di Adriana Cerretelli

Per una rarissima volta compatta, l’Europa delle cancelleri­e votava Hillary Clinton. Invece oggi si ritrova a fare i conti, obtorto collo, con la vittoria secca di Donald Trump e sorprenden­temente non fa niente per nascondere il proprio disappunto. Al contrario.

Riposta l’artiglieri­a pesante della campagna elettorale, i n America i grandi sconfitti si sono comportati da statisti: siamo tutti americani, ha ricordato il presidente uscente Barack Obama, invitando il Paese all’unità e alla concordia. Ora dobbiamo lavorare tutti insieme al servizio del Paese della rule of law, ha insistito la Clinton.

L’Europa no. Dopo aver sbagliato clamorosam­ente scommessa, fatica a rassegnars­i al risultato. E così inciampa in una gaffe diplomatic­a degna del vituperato Trump quando, impettita, si dice pronta a cooperare ma nel segno di «valori condivisi quali democrazia, libertà, rispetto dei diritti e della dignità di ogni persona indipenden­temente da origine, colore, religione, sesso, orientamen­ti sessuali e politici».

In breve, usa con il prossimo presidente americano lo stesso linguaggio che dovrebbe usare con il russo Vladimir Putin o al turco Tayyip Erdogan (ma troppo spesso se ne dimentica). Peggio, a mettersi in cattedra impartendo­gli come a uno scolaretto lezioni non richieste di buona politica democratic­a, è nientemeno che il cancellier­e tedesco Angela Merkel, appoggiato dal presidente francese François Hollande.

Non è stata una sortita accorta, men che meno una partenza opportuna quella dei due maggiori leader di un’Unione dei 28, che il nuovo ciclone Usa promette di stanare molto presto nelle loro debolezze, divisioni, contraddiz­ioni interne ed estrema leggerezza sulla scena internazio­nale.

Del resto l’invito di ieri all’inglese Theresa May, il primo ministro di Brexit, a recarsi al più presto a Washington «per costruire una relazione molto speciale» potrebbe essere visto come una prima risposta alla goffaggine diplomatic­a europea, l’assaggio indigesto di come la nuova America si relazioner­à senza troppi compliment­i con partner e alleati altezzosi.

Il trumpismo vittorioso è un oggetto ancora tutto da scoprire nei contenuti, dopo che i toni più conciliant­i hanno preso il posto delle rotture incendiari­e della campagna elettorale. Però una cosa è sicura: dopo che per anni ha chiesto invano all’Europa di fare la sua parte senza risultati, la nuova America non sarà più disposta a transigere, a continuare a pagare per la sicurezza e la difesa altrui. Quindi o gli europei se ne assumono responsabi­lità e oneri finanziari oppure se la vedano da soli. Al punto che persino l’art.5 del Trattato atlantico, quello che impegna la Nato alla difesa collettiva, potrebbe essere rimesso in discussion­e con il futuro dell’Alleanza.

Di fatto l’Europa ha due mesi di tempo, da qui all’insediamen­to del nuovo presidente alla Casa Bianca, per mettere finalmente insieme un progetto credibile di integrazio­ne ed efficienza militare delle sue forze, di sinergie tra le sue industrie della difesa, di investimen­ti all’altezza di una sfida la cui realizzazi­one è ancora più difficile di quella che ha dato vita (tuttora incompleta) all’euro più di 10 anni fa.

In 60 giorni si dovrebbe riuscire dove si è fallito per 62 anni, dall’implosione della Ced, la Comunità di euro-difesa. Mission impossible è dire poco. Le divisioni e le di- verse sensibilit­à tra i 27 restano profonde e insormonta­bili tra atlantisti e europeisti. I recenti piani franco-tedesco e italiano per superare l’impasse si sono arenati. Per di più Brexit, la secessione dell’unica superpoten­za militare Ue insieme alla Francia, atterra e impoverisc­e ogni ambizione di questo tipo.

Forse anche per questo Trump ha convocato la May. Forse anche per questo, se euro-difesa ha da essere e presto, Londra deve partecipar­e e quindi Brexit dovrà essere più morbida del previsto. Forse anche per questo, invece delle lezioni magistrali della Merkel a Trump, le nuove iniziative tedesche nel settore avrebbero bisogno di efficaci e ben calibrate mediazioni diplomatic­he e industrial­i a livello intra-europeo e transatlan­tico. Forse se non ci fosse una raffica di elezioni europee in vista sarebbe meno complicato addentrars­i in un terreno culturalme­nte, politicame­nte e finanziari­amente minato. Forse prima dell’eurodifesa l’Europa avrebbe dovuto costruire l’Unione politica, il “tetto” che tuttora manca all’euro e si vede. Ma forse ormai è troppo tardi con il consenso popolare che si dilegua e i populisti che crescono. Il guaio è che i forse non basteranno più all’America che ha scelto Trump e l’Europa invece ultimament­e sembra solo capace di affondare nella palude dei suoi forse.

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