Il Sole 24 Ore

La sfida che va oltre il 4 dicembre

- u Continua da pagina 1 di Lina Palmerini

Diceva ieri Renzi che la vittoria di Trump dimostra che la “realtà è altrove”, fuori dai sondaggi, dai media. Un malessere che resta fuori dalla porta anche dei partiti tradiziona­li che davan- ti alla crisi si presentano con un welfare «datato» mentre i populismi hanno messo in campo lo slogan del nazionalis­mo. È questa la sfida che va oltre il referendum.

Quella realtà inafferrab­ile di cui ieri parlava Renzi è quella che lo aspetta non solo nell’appuntamen­to referendar­io del 4 dicembre ma nelle sue prossime tappe da premier o da leader del Pd. È un tema che non riguarda solo una sfida ma tutte le sfide elettorali che ci saranno di qui in avanti e che ieri raccontava Gianni Cuperlo. «Viviamo un momento nel quale sono venute meno le sicurezze del ceto medio, che si ribella. E la sinistra fa fatica a intercetta­rlo. Dobbiamo cambiare anche noi», diceva. Perfino la definizion­e di ceto medio andrebbe riscritta perché nella morsa della globalizza­zione non finiscono solo colletti blu e bianchi ma anche quei profession­isti qualificat­i che la rivoluzion­e digitale sta mettendo alle strette. È quindi un mondo del lavoro trasversal­e, con redditi anche distanti, a essere sotto pressione e che non sta più dentro un modello di welfare fatto per un’altra èra.

Quella realtà che “è altrove” in questi anni di crisi è stata lasciata in balìa di una serie di slogan: quello della competizio­ne globale, quello della finanza internazio­nale che ha spalancato le porte a divari di reddito enormi e, infine, quello del rigore che l’Italia ha condiviso sottoscriv­endo le regole europee. È da questa trappola che Renzi sta cercando di venire fuori ma per il momento ha individuat­o una sola via d’uscita: quella di rovesciare il tradiziona­le registro politico del Pd sull’Europa. Ancora ieri ha citato Mario Monti per dire che ha cambiato quel ritornello del “ce lo chiede Bruxelles” ma al suo discorso mancano dei pezzi. Perché la pagina ancora vuota del suo programma è come risponderà al modello di welfare che già si profila nei messaggi dei partiti populisti. O di quelli battuti dal populismo. Uno stato sociale la cui premessa è la chiusura dei confini.

È in fondo quello che evoca l’impianto dei 5 Stelle: un reddito di cittadinan­za che però è affiancato da politiche migratorie più restrittiv­e e da una battaglia contro l’euro. Uno schema simile a quello di Salvini che mette insieme il “No” agli immigrati e al- l’Europa con la protezione dei confini per tutelare meglio il lavoro e i redditi degli italiani. E in fondo sono le stesse risposte che hanno dato i Tories nel loro ultimo congresso a Birmingham dopo la Brexit: un riflesso nazionalis­ta che è una novità per la tradizione di quel partito. Ed è lo stesso slogan di Trump: «America first».

È dunque con questo modello “nazionalis­ta” di società e di welfare con cui Renzi dovrà fare i conti perché quel braccio di ferro con Bruxelles e Berlino è solo una tappa. Peraltro nemmeno definitiva. L’appuntamen­to referendar­io, insomma, è solo un capitolo della battaglia tra populisti e anti-populisti che si consumerà su un nuovo modello di protezione sociale. Anche se il premier dovesse vincere il test popolare del 4 dicembre, la strada non diventerà una discesa verso le elezioni politiche. Il campo che hanno occupato sia i 5 Stelle che la Lega con la ricetta “protezioni­sta”, che ora trova solide sponde nell’America di Trump, costringer­à il Pd a uscire dal rammendo delle politiche sociali, delle misure per i pensionati o gli esodati come quelle disegnate nella legge di stabilità.

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