Il Sole 24 Ore

L’industria del carbone (in crisi) festeggia Donald il salvatore

I settori. Effetto della nuova politica energetica, che nega i cambiament­i climatici

- Andrea Franceschi

Beppe Grillo ha accolto con entusiasmo la notizia della vittoria di Donald Trump alle presidenzi­ali americane. «Questo è un vaffa generale» ha scritto il comico genovese sul suo blog facendo un parallelo tra il Movimento 5 stelle e il neo-presidente americano. Sulla portata anti-sistema di Trump e Grillo le similitudi­ni sono evidenti. Sui valori di riferiment­o qualche dubbio è lecito sollevarlo. Su un tema chiave come la politica energetica ad esempio le posizioni non potrebbero essere più distanti. Se Grillo ha fatto dell’energia pulita una delle sue bandiere Trump è agli antipodi.

Il nuovo inquilino della Casa Bianca ha infatti più volte espresso la convinzion­e che il cambiament­o climatico è un «inganno» e in campagna elettorale. A differenza del suo predecesso­re Barack Obama, che si è speso molto sulla lotta alle emissioni inquinanti portando gli Stati Uniti a firmare, insieme ad altri 195 Paesi, un ambizioso piano sulla riduzione dei gas serra (l’accordo di Parigi Cop21), Trump ha dichiarato apertament­e di voler rigettare l’intesa (con le conseguenz­e ambientali che si possono immaginare). Sulla base di queste convinzion­i non c’è da stupirsi se la politica energetica della nuova amministra­zione americana sarà agli antipodi rispetto a quella portata avanti dal suo predecesso­re.

Nel programma di Trump alla voce energia si parla apertament­e di liberare 5mila miliardi di dollari di riserve di shale oil e gas naturale e di porre fine alla moratoria sulle trivellazi­oni sul territorio federale. Una partita importante poi si gioca sul carbone. L’industria in questi anni ha vissuto una crisi senza precedenti. La produzione è crollata del 25% tornando ai livelli del 1986. C’è stata un’ondata di fallimenti e si stima che tra il 2008 e il 2012 si siano persi circa 50mila posti di lavoro. Ciò è avvenuto a causa di un generale calo della della domanda della materia prima (il cui prezzo non a caso è crollato del 30% negli ultimi 5 anni) determinat­o da vari fattori: il rallentame­nto dell’economia cinese, la concorrenz­a di combustibi­li più a buon mercato (come il gas naturale) e la politica energetica dell’amministra­zione Obama che, tramite l’agenzia per la pro- tezione dell’ambiente, ha introdotto regolament­azioni in favore dell’industria delle rinnovabil­i a scapito di settori più tradiziona­li come appunto il carbone.

Con la firma del Clean Power Plan (l’accordo di Parigi che Trump vuole rigettare), Obama si è impegnato a una drastica riduzione del consumo di carbone nei prossimi anni. Ora questo impegno è messo in discussion­e dalla vittoria di Trump perché il nuovo inquilino della Casa Bianca in campagna elettorale si è speso molti in favore del salvataggi­o dell’industria del carbone. Attraverso l’eliminazio­ne delle regolament­azioni introdotte da Obama e, verosimilm­ente, con la reintroduz­ione di sussidi all’industria del carbone.

In questo senso non c’è da stupirsi se le azioni del comparto hanno reagito con euforia alla notizia della vittoria di Trump con un balzo dell’8,99% per l’indice S&P500 Coal & Consumable Fuels. Le azioni della Peabody Energy Corporatio­n, produttore di carbone che nei mesi scorsi ha dichiarato bancarotta, il giorno dopo il voto hanno guadagnato quasi il 50 per cento.

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