Silicon Valley sconfitta dalle fabbriche
Lo stato dei giganti hi-tech e culla del Partito democratico sotto shock per il tr ionfo di Trump
«Se Trump vince vi annuncio sin da ora che finanzierò una campagna per la secessione della California». È con questo tweet che Shervin Pishevar, cofondatore di Sherpa Capital, società di venture capital che ha finanziato giganti di Silicon Valley quali Airbnb e Uber, ha manifestato il proprio shock quando siti e telegiornali americani hanno cominciato a dare le prime proiezioni dei risultati delle presidenziali.
Pensieri dello stesso tenore – tra il drammatico e il faceto – sono oggi diffusi a Sili con Alley, la zona a nord di Wall Street che dagli anni ’90 è il cuore delle start-up hi-tech della Costa Atlantica. Qui molti Millennians non solo hanno trovato lavoro, ma stanno (almeno sulla carta) accumulando fortune non troppo dissimili da quelle dei loro vicini di strada impegnati negli hedge fund e nelle banche d’investimento.
«Sono disgustato, rattristito e spaventato», dice a Il Sole 24 Ore Ben Lerer, managing partner di Lerer Hippeau Ventures, società di venture capital specializzata nei new media, e amministratore delegato di Thrillist Media Group. «Il risultato di martedì a mio giudizio implica una drammatica svalutazione dell'Ufficio Ovale. E la mia preoccupazione è che nel corso del tempo si finisca col riconoscere Trump come leader, anziché mantenere il grado di indignazione necessario per evitare che una cosa del genere si ripeta».
È chiaro che nella valle e nel vicolo del silicio, in quella che da vent’anni è considerata l’America del futuro – l’America di Jeff Bezos, Mark Zuckerberg o, in scala minore, di Ben Lerer – la vittoria di Trump è stata ancora più inattesa di quanto non sia stata per il mondo giornalistico.
È una delle tante ironie della vittoria elettorale di Donald Trump, il super-magnate che il popolo bianco americano ha scelto per far sentire la propria voce e il proprio risentimento. Perché uno dei maggiori fattori del successo di Trump è stato proprio quello della disintermediazione prodotta dalla tecnologia al silicio. Quella con cui Shervin Pishevar si è arricchito oltre misura. Sono infatti stati Twitter e soprattutto il giocattolino miliardario di Mark Zuckerberg a permettere a Trump di vincere diffondendo senza filtri le sue dichiarazioni di guerra contro gli immigrati, i musulmani, l’establishment politico e i grandi media a lui dichiaratamente ostili.
Come è possibile che lo stesso Paese che ha scelto Obama, possa ora volere Trump? È la domanda che il resto del mondo si pone in questi giorni. Ma la risposta è sorprendentemente semplice: in un Paese in cui vota mediamente il 50% degli aventi diritto al voto, otto anni fa con Obama ha prevalso la parte “post-bianca” e soprattutto “post-industriale” del Paese. L’America che grazie ai suoi iPhones usa Uber per muoversi e Airbnb per viaggiare e che in questi anni ha visto corporation appena adolescenti quali Apple, Amazon, Google e Facebook scalzare le corporation che hanno fatto la storia industriale statunitense diventando protagoniste “politiche” oltre che economiche.
Martedì scorso c’è stata invece la vittoria del riflusso bianco e industriale. Ai seggi hanno prevalso l’etnia e il settore economico più rappresentativi del boom del dopoguerra, un’era gloriosa per i bianchi e per la working class. Si è fatta sentire l’America degli operai e degli impiegati della Ford o delle industrie tessili, quella dei tassisti registrati in Comune scalzati dai cittadini-autisti di Uber. E forse an- cor più quella dei camionisti, che in Google e Apple vedono un futuro in cui i camion, come le fabbriche, non avranno bisogno di esseri umani per andare avanti. Un futuro che ovviamente li terrorizza.
Questa America ha logicamente votato per un signore che non solo ha ripetutamente dichiarato l’intenzione di rinegoziare tutti gli accordi di scambio commerciale che hanno contribuito alla delocalizzazione delle grandi industrie, ma di essere pronto a costringere App le a produrre i suoi telefonini negli Usa.
Insomma qui è emersa la grande criticità dell’economia hi-tech: ha un impatto positivo per i consumatori perché facilita – e quindi democratizza - l’accessibilità a beni e servizi, ma a differenza dell’economia dell’industria non garantisce una distribuzione di massa della sicurezza economica. Anzi, tende a concentrare su pochi i proventi dei suoi prodotti o servizi.
Non solo, a differenza dell’economia tradizionale, quella della conoscenza non è aperta a tutti bensì soltanto a chi è molto istruito e professionalmente preparato. Quindi non si concilia con quel “sogno americano” di mobilità sociale verso l’alto per tutti che ha garantito stabilità politica a un Paese che non ha mai saputo rimuovere le sue forti diseguaglianze razziali ed economiche.
RIFLUSSO INDUSTRIALE Per la vittoria del candidato repubblicano è stato decisivo l’appoggio dei lavoratori dell’industria manifatturiera d’America