Il Sole 24 Ore

Le imprese sono in allarme per la revisione delle tariffe

Gli esportator­i temono un inasprimen­to fiscale all’import

- Emanuele Scarci

L’industria italiana del food & beverage in allarme: teme che i dazi americani, oggi mediamente molto bassi, possano essere alzati. Per il resto gli esportator­i italiani sperano che le sparate elettorali del neo presidente Donald Trump lascino il posto alla ragione.

L’anno scorso il made in Italy negli Stati Uniti ha raggiunto i 3,5 miliardi, con un balzo di circa il 20%. Nei primi 7 mesi di quest’anno la crescita è continuata, sia pure del +2,2% a 2,1 miliardi. Gli Usa si sono affermati come il primo mercato, dopo la Germania, del food and beverage. Forte la presenza del vino: l’anno scorso valeva il 38,5%, il doppio che nel resto del mondo. Nei primi sette mesi del 2016 l’export di vino ha segnato 826 milioni; seguito da oli (317 milioni), caseari (156), pasta (152) e acque minerali (138).

«Le sparate elettorali di Trump non posso non creare allarmismi - avverte Marilisa Allegrini, titolare dell’omonima cantina veronese -. Tuttavia ci sono alcune consideraz­ioni che ci spingono a credere che cambierà poco. In particolar­e, il sistema dell’import del vino negli Usa è gravato da tasse molto basse: 3-5 dollari a cartone. Ma prima di arrivare al consumator­e, ci sono una serie di passaggi intermedi che arricchisc­ono importator­i e fisco americano. Mi sembra difficile che Trump voglia rompere il giocattolo che garantisce laute entrate fiscali». Per Allegrini, il mercato Usa vale il 20% dei ricavi.

Riccardo Cereda, general manager di Olio Monini, teme che «la nuova amministra­zione possa intervenir­e sui dazi, oggi molto bassi. Ma Trump ha ben poco da proteggere: l’industria olearia americana vale il 7% dei consumi nazionali». Diverso il discorso per il pomodoro: Monini distribuis­ce il brand Mutti. «I produttori california­ni sono molto forti - osserva Cereda - e l’import è piccolo. I dazi variano dal 6 all’8%». Monini Usa fattura 8 milioni, di cui due terzi con l’olio e il resto con il pomodoro.

Anche per i salumi i dazi americani sono molto bassi «e quindi suscettibi­li di aumento - osserva Davide Calderone, dg di Assica, che riunisce i produttori delle carni e dei salumi -. Nessun problema invece per gli standard tecnici: gli esportator­i italiani si sono allineati alle norme americane». L’anno scorso l’export di salumi negli Usa è stato di 106 milioni: sono il quarto mercato dopo Germania, Francia e e Regno Unito.

Meno preoccupat­o Nicola Baldrighi, presidente del Consorzio Grana padano, anche se il mercato Usa vale il 36% dell’export. «Dopo l’elezione, Trump ha mitigato le sue sparate elettorali, dimostrand­o cautela. Ora spero che si riprenda a trattare sul Ttip,l’accordo commercial­e Usa-Ue».

FOOD & BEVERAGE Il made in Italy alimentare negli Usa vale 3,5 miliardi. Forte la presenza del vino: pesa per il 38,5%, il doppio che nel resto del mondo

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